Foto: Vladimir Mekler © 1988

Foto: Vladimir Mekler © 1988 (homepage)

Data: 14 giugno 1988

Luogo: Leningrado

Descrizione:
Quel 14 giugno 1988, per tutto il corso della serata, ebbi la percezione che davanti ai miei occhi stesse accadendo un evento che sarebbe passato alla storia. Per diverse ore, al mio cospetto, una folla di persone in silenzio assoluto ascoltò altre persone che prendevano la parola dal palco. E il silenzio di quella folla radunatasi al Giardino Jusupov (Jusupovskij sad) di Leningrado non era ingannevole: pur di ascoltare, la gente letteralmente tratteneva il respiro. Io stesso ero su quel palco allestito per i concerti estivi e, insieme a Elena Zelinskaja, guidavo quel raduno di massa dedicato alle vittime delle repressioni politiche. Da quel palco, quella sera, risuonarono davvero parole che prima non erano mai risuonate così apertamente, ed erano parole pronunciate da persone a cui, fino a quel momento, non era stato permesso di parlare in pubblico.
Insieme a Elena riuscimmo a condurre questa storica manifestazione, a presentare gli oratori, a collegare gli argomenti, a fare commenti. Il meeting durò circa tre ore, ma nel momento in cui decidemmo di concluderlo, ritenendo che i partecipanti fossero ormai stanchi, avemmo subito la percezione che le persone fossero pronte a restare ancora ad ascoltare. Eravamo nel pieno delle notti bianche, alle dieci di sera c’era ancora luce come se fosse giorno, ciò rafforzava l’impressione che fosse ancora presto per sciogliere quel raduno. Sta di fatto che in quello strano chiarore notturno, sparsi qua e là nel giardino, si formarono dei gruppetti dove si continuò a commentare quanto ascoltato.
Quanto accaduto quella sera oggi è considerato come la data ufficiale di fondazione della sezione leningradese (pietroburghese) dell’associazione “Memorial”. Il 14 giugno 2018, a distanza di trent’anni, i partecipanti alla manifestazione si sono nuovamente riuniti al Giardino Jusupov. Molti non c’erano più, avevano ormai lasciato la vita terrena per sempre. Non eravamo presenti neanche io e Elena Zelinskaja, in quanto negli ultimi anni viviamo lontano dalla ‘nuova’ Russia.
Nel 1988, al terzo anno di Perestrojka, si parlava di repressioni di stato contro il proprio popolo. Non si può dire che in URSS la questione fosse totalmente bandita, ma a partire dagli anni Settanta, vi era stato steso sopra lo spesso velo dell’oblio, mentre le denunce di Solženicyn e di altri divennero antisovietiche, pericolose e, di conseguenza, punibili. Di quello spaventoso terrore degli anni 1937-1938 e della morte di milioni di persone si discuteva vagamente, come conseguenza d’un certo “culto della personalità”. Il nome della “personalità”, inoltre, non veniva mai pronunciato.
Durante la Perestrojka, quando le autorità con prudenza aprivano dei varchi su un terreno fino a quel momento considerato proibito, le testimonianze sul Grande Terrore divennero gradualmente di dominio pubblico. Per la maggioranza il tema suonava come nuovo, era una vera e propria scoperta.
Ma non per me. Mio padre aveva una strana passione: collezionava materiali sulle repressioni staliniane. Tra questo materiale c’erano scritti battuti a macchina, come una lettera di Fёdor Raskol’nikov a Stalin; c’erano anche libri sul GULag, pubblicati all’epoca delle rivelazioni chruscioviane, successivamente censurati e ritirati dalle biblioteche; infine c’erano i risultati delle sue ricerche personali, con tessere, liste e così via. Mi ricordo come mi impressionasse una foto di gruppo degli anni Venti con i membri del governo sovietico (o forse del Comitato centrale del Partito comunista): su coloro che erano stati giustiziati mio padre aveva posto delle croci a lutto; senza croce erano rimaste ben poche teste. Mio padre teneva nascosto questo materiale sulle repressioni nelle seconde file della libreria, dietro le raccolte di opere dei classici, di modo che i nostri ospiti non potessero veder nulla di tutto ciò.
Nel 1987, a cinquant’anni dall’inizio del Grande Terrore, si iniziava a parlare più spesso delle repressioni. I contenuti dei mass-media sovietici cambiavano, anche le persone stavano cambiando. Ai miei occhi i concittadini si emancipavano. Io stesso mi stavo emancipando.
Già da un anno lavoravo al Fondo sovietico per la cultura guidato da Dmitrij Lichačёv insieme alla first lady dell’URSS, Raisa Gorbačёva. Nelle stanze del Fondo, che era diventato una sorta di luogo alternativo all’inerte Ministero della cultura, giungevano le persone più disparate. Ma la base, almeno a Leningrado, era costituita da coloro che un tempo avevano animato l’underground (termine all’epoca non in voga), i fautori del samizdat, i dissidenti, gli artisti delle neoavanguardie. Conoscevo già alcuni di loro, essendo un frequentatore del Klub-81, l’associazione di scrittori non conformisti (anche questa definizione all’epoca non era in voga).
Tra questi, su tutti si distingueva il poeta Viktor Krivulin, il quale manifestava un autentico ‘temperamento’ civico; seguiva con attenzione il nostro movimento per la difesa dei monumenti della città, e per me egli stesso rappresentava un monumento vivente della cultura pietroburghese. Proprio Krivulin, che probabilmente per la prima volta nella sua vita prese la parola al cospetto di una folla di cittadini, finì al centro di quella fotografia.
Nel Fondo per la cultura giungevano anche cittadini famosi, che non frequentavano l’underground, ma che ritenevano necessario partecipare ai cambiamenti sociali in atto, all’epoca definiti democratici. Ricordo gli storici Gleb Lebedev e Dmitrij Mačinskij, gli scrittori Nina Katerli e Samuil Lur’e (noto a tutti come Sanja); salirono tutti sul palco al Giardino Jusupov.
Elena Zelinskaja, mia cara amica, pubblicista, scrittrice, aveva fondato un suo circolo, l’associazione Epicentro, in cui si distinguevano i nomi dell’artista Julij Rybakov (in seguito divenuto deputato della Duma) e dell’ecologista Pёtr Koževnikov: entrambi furono tra gli organizzatori della manifestazione. Durante gli interventi non si poté evitare di ricordare le vittime più recenti delle repressioni, si trattava di nostri contemporanei detenuti nei campi di lavoro e riabilitazione a causa delle loro idee. Si trattava di Veniamin (Venja) Iofe e di Vjačeslav (Slava) Dolinin. Anche loro furono tra i principali fautori della manifestazione, divenendo successivamente tra le figure di rilievo di “Memorial”.
Il lavoro presso il Fondo per la cultura mi concesse una preziosa opportunità, quella di inoltrare richiesta alle autorità locali per ottenere il permesso alla manifestazione. Si trattava di una novità assoluta per la realtà sovietica. Sulla carta ufficiale e prestampata dell’organizzazione bisognava dichiarare il motivo della manifestazione, il luogo di svolgimento e il numero presunto dei partecipanti. Il Fondo per cultura, grazie a Dmitrij Lichačёv e a Raisa Gorbačëva, godeva all’epoca del rispetto delle autorità e di permessi simili ne avevo già ricevuti in passato. Anche stavolta lo ottenni.
Per quella manifestazione volevamo creare la giusta atmosfera, così all’inizio della serata dagli altoparlanti risuonarono gli accordi di chitarra e le parole di Galič: “Corrono le nubi verso Abakan/ Le nubi passano senza fretta…/ Hanno caldo le nubi, di certo/ E qui io congelato per l’eternità! / Sono ferro di cavallo sul solco ghiacciato/ Nel ghiaccio stesso che ho picconato! / Non per nulla oltre vent’anni  / nei lager il mio tempo consumai”. Non era necessario annunciare di chi fosse la canzone; i partecipanti al raduno già conoscevano la voce rauca del bardo dissidente Aleksandr Galič, sapevano del suo tragico destino.
All’apertura della manifestazione, Elena Zelinskaja ripeté diverse volte la frase alata “Le ceneri di Claes battono sul mio petto”: sono parole dell’eroe dell’epos fiammingo Till Eulenspiegel, che vendicò la morte del padre Claes mandato al rogo dell’Inquisizione spagnola. Le ceneri di Claes non battevano solo sul petto di Elena. Vi fece riferimento anche la filologa Marina Žžёnova, figlia del popolare attore Georgij Žžёnov, amatissimo dal pubblico sovietico che aveva trascorso 17 anni nei GULag e in esilio forzato. Il discorso di Marina mi rimase ben impresso, le sue idee coincidevano con le mie. Disse che, a differenza di molti suoi coetanei, grazie a suo padre lei da sempre sapeva la verità sulla sanguinosa epoca staliniana e che tutti ormai dovevano venirne a conoscenza. Riteneva che fossero necessari un memoriale alle vittime delle repressioni, un pentimento, una pubblica identificazione dei nomi dei boia, che fosse necessario costituire una associazione che ci restituisse i nomi di coloro che erano stati cancellati via con la polvere del GULag. Questo era il nostro dovere civile, il dovere dei figli e dei nipoti di quei cittadini russi repressi, di tutti coloro che in questi lunghi anni avevano convissuto con il terrore.
Ricordo bene come Sanja Lur’e iniziò il suo discorso: “sono qui di fronte a voi e ho paura. Ho paura che per questo mio discorso mi faranno del male…” Noi tutti percepivamo a livello fisico questo senso di paura, la sua lotta contro questa paura. La celebre espressione di Čechov “spremere lo schiavo che è in noi, una goccia alla volta” si materializzava sotto i nostri occhi. Avevamo forse paura noi? Avevo io paura? Probabilmente quella sera no. Sentivo che insieme a Sanja Lur’e le persone che lo ascoltavano ad un certo punto avevano smesso di avere paura.
Alla fine della manifestazione, dal palco, fu dichiarata tra gli applausi la nascita della sezione “Memorial” di Leningrado.
Su di noi iniziava a soffiare un meraviglioso vento di libertà.
In quella notte bianca di luglio del 1988, al Giardino Jusupov avevamo l’impressione che questo vento non si sarebbe mai più placato…

Michail Talalay
[31 dicembre 2022]

Traduzione in italiano
di Marco Sabbatini

Cita come:
Michail Talalay, Leningrado, 14 giugno 1988. Storia di una fotografia, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
© 2021 Author(s)
Content license: CC BY 4.0