Caffè Sajgon, fonte: https://adresaspb.ru/.

Date: 1964–1989

Luogo: Leningrado

Frequentatori: Evgenij Venzel’, Konstantin Kuz’minskij, Viktor Širali Evgenij Michnov-Vojtenko, Viktor Krivulin, Tat’jana Goričeva, Viktor Sosnora, Gleb Gorbovskij, Viktor Toporov, Leonid Aronzon, Iosif Brodskij, Evgenij Rejn, Sergej Dovlatov, e moltissimi altri

Descrizione:
Il Sajgon rappresenta la caffetteria più celebre tra i tanti locali frequentati da artisti e letterati durante la ‘quarta rivoluzione russa’, definizione con cui Viktor Krivulin (cf. Parisi 2013: 294) tenta di mettere in evidenza la pregnanza semiotica dei caffè letterari, spazi di confronto ben più vivaci rispetto alle sedi culturali ufficiali come l’Unione degli Scrittori, l’Università o i LITO (la cui importanza è da ascrivere soprattutto al decennio precedente).
Aperto nel settembre 1964 e frequentato in maniera massiccia a partire dall’inizio degli anni Settanta, il Sajgon si trovava all’incrocio tra il Nevskij e il Vladimirskij prospekt, al piano terra di un palazzo che al primo piano ospitava il ristorante Moskva (cf. Dolinin 2003: 23). Da qui, il primo nome attribuito in maniera informale alla caffetteria, Podmoskov’e (sobborgo di Mosca). Stando alla testimonianza del poeta e traduttore Viktor Toporov, il toponimo con cui il locale sarebbe passato alla storia è invece legato alla reprimenda rivolta da un agente a due ragazze, ree di essersi accese una sigaretta all’interno del locale: “Che, fumate? E un’indecenza, avete messo su una specie di Sajgon qua dentro!” (ibid.). All’epoca, la capitale sudvietnamita era ritratta dai mezzi di comunicazione occidentali come una novella Sodoma, patria del vizio e dei bagordi dei soldati allora impegnati nella sanguinosa Guerra del Vietnam. A differenza della Malaja Sadovaja o di altre caffetterie come il Buratino o il Kafe poėtov, il Sajgon si caratterizzò sempre come un luogo estremamente aperto e democratico, abitato sia da protagonisti dell’underground come Krivulin e Kuz’minskij, sia da poeti riconosciuti a livello ufficiale, come Sosnora e Gorbovskij (cf. Sabbatini 2005: 89). Il locale doveva la sua enorme popolarità alla funzione di raccordo e interazione che svolgeva a favore di gruppi e individui profondamente diversi per età, abitudini, impegno politico e formazione intellettuale. Questa caratteristica spiega inoltre la longevità di un caffè rimasto attivo per venticinque anni, a dispetto delle ripetute minacce di chiusura: l’esistenza di un simile luogo, aperto dalle 9 alle 22, circoscritto e sorvegliabile, finiva infatti per agevolare il lavoro di sorveglianza delle stesse autorità (cf. Parisi 2015: 295; Kuz’minskij: web). Caratterizzato da una libertà di tipo ‘negativo’ (libertà dalle imposizioni culturali e comportamentali dell’ufficialità) e frequentato da poeti, artisti, bohémien, emarginati sociali e persino ex-galeotti (cf. Parisi 2013: 296), il Sajgon si posizionava a metà strada tra la dimensione pubblica di piazza Majakovskij e l’intimità ricercata nelle cucine e negli appartamenti condivisi (cf. ibid.: 298). Al suo interno trovavano spazio semplici scambi di vedute e informazioni su film, concerti, mostre, così come letture e declamazioni di versi, e, adottata qualche accortezza, persino lo scambio di materiale dattiloscritto (cf. Dolinin 2003: 23). Considerando l’alto numero di avventori e il prolungato periodo di apertura, il Sajgon rappresenta il luogo principe dell’underground leningradese, pur mantenendosi molto distante dall’aura di trascendenza e spiritualismo fiorita in altri contesti, come l’appartamento numero 37 di via Kurljandskaja, nel quale Tat’jana Goričeva teneva il suo celebre seminario filosofico-religioso. La chiusura del caffè si sarebbe collocata ormai alla fine di un’epoca, nel marzo 1989, tra le proteste generali e la richiesta, avanzata da alcuni habitué, di preservarne la memoria di luogo simbolo di una città che di lì a poco avrebbe riconquistato il suo toponimo originario. L’emblematica risposta offerta a quell’istanza sta nel tipo di destinazione attribuita agli spazi un tempo occupati dalla caffetteria: un negozio di sanitari, di provenienza tra l’altro italiana (cf. Sabbatini 2005: 90).

Federico Iocca
[30 giugno 2021]

Bibliografia

  • Dolinin V., Severjuchin D., Preodolen’e nemoty, in V. Dolinin, B. Ivanov, B. Ostanin, D. Severjuchin (a cura di.), Samizdat Leningrada. Literaturnaja ėnciklopedija, Novoe Literaturnoe Obozrenie, Moskva 2003: 7-51.
  • Kuz’minskij K., Strana Sajgona, http://www.kkk-bluelagoon.ru/tom4a/sajgon.htm, online (ultimo accesso: giugno 2021).
  • Parisi V., Il lettore eccedente. Edizioni periodiche del samizdat sovietico. 1956-1990, Il Mulino, Bologna 2013.
  • Sabbatini M., Tra il Sajgon e Praga. Il sessantotto e dintorni a Piter, “eSamizdat”, 3 (2005): 83-91.
  • Sumerki Sajgona, a cura di Ju. Valieva, ZAMIZDAT Publishing, Saint Petersburg 2009.
  • Zdravomyslova E., Leningradskij “Sajgon” – prostranstvo negativnoj svobody, “Novoe Literaturnoe Obozrenie”, 100 (2009): 660-676.

Versione aggiornata di: Iocca F., Caffè Sajgon, in C. Pieralli, T. Spignoli, F. Iocca, G. Larocca, G. Lo Monaco (a cura di), Alle due sponde della cortina di ferro. Le culture del dissenso e la definizione dell’identità europea nel secondo Novecento tra Italia, Francia e URSS (1956-1991), goWare, Firenze 2019: 349-351.

Cita come:
Federico Iocca, Caffè Sajgon, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2 © 2021 Author(s)
Content license: CC BY 4.0