Ryl’sk, 1907 – Mosca, 1989

Non si può in alcun modo accostare la parola “indifferenza” a Sof’ja Vasilevna [Kallistratova]. La sua attività come avvocato è stata, dall’inizio alla fine, una lotta appassionata per l’autentica giustizia, per una sentenza giusta e umana
(Pečuro 1998).

Pëtr Grigorenko e Sof’ja Kallistratova. Public Domain. Fonte: https://mhg.ru/kallistratova-sofya-vasilevna.

Sof’ja Kallistratova nacque nel 1907 a Ryl’sk, cittadina situata nell’oblast’ russa di Kursk, ai confini con l’Ucraina. Nel 1925 si traferì a Mosca dove, una volta terminati gli studi giuridici, iniziò a esercitare la professione in qualità di membro dell’ordine degli avvocati di Mosca (1943-1976) (cf. Moskovskaja Hel’sinskaja Gruppa).
Kallistratova divenne un’attivista per i diritti umani a partire dalla fine degli anni Sessanta quando, grazie all’amica e collega Dina Kaminskaja, fu introdotta nei circoli della dissidenza moscovita offrendo la propria consulenza legale ai membri dell’appena nato movimento per i diritti umani sovietico (cf. Alekseeva 2006: 213). Nel 1966 le fu proposto di assumere la difesa di A. Sinjavskij e Ju. Daniėl’ – incriminati secondo l’art. 70 del Codice di Procedura Penale dell’RSFSR (attività antisovietica) per aver pubblicato le proprie opere in Occidente – incarico che dovette però rinunciare, non essendo in possesso dei requisiti necessari per seguire simili casi giudiziari di tipo “politico”. Con lo scopo di controllare e dirigere gli esiti dei processi politici, la autorità sovietiche avevano infatti stabilito che, per poter difendere gli imputati in tali processi, gli avvocati dovevano essere in possesso del dopusk, ovvero un’autorizzazione speciale che permetteva loro di avere accesso ai documenti riservati, condizione essenziale per seguire i casi politici (cf. Amnesty International 1975: 30). Questo spiega perché, spesso, i dissidenti incriminati perdevano di fatto il diritto di scegliere il proprio legale difensore, come invece previsto dall’art. 48 del Codice di Procedura Penale dell’RSFSR. Si trattava, pertanto, di un meccanismo messo in atto dal potere sovietico per poter abilitare solo gli avvocati fidati, contraddicendo, tra l’altro, l’ufficialità di un organo quale il Collegio degli Avvocati, teoricamente composto da membri con pieni requisiti morali e professionali. Ogni avvocato difensore aveva il dovere di assistere il cliente e il dovere di curare gli interessi della società – come stabilito dalla Costituzione – in tal modo, invece, si generavano delle situazioni paradossali in cui gli avvocati venivano spesso richiamati per essersi schierati apertamente dalla parte dei dissidenti politici che erano chiamati a difendere (cf. Amnnesty International 1975: 31). Già in occasione del processo Sinjavskij-Daniėl’, Sof’ja Kallistratova dimostrò grande caparbietà, criticando aspramente i colleghi per aver chiesto una diminuzione della pena e non l’assoluzione piena, dal momento che, per la prima volta nella storia dei processi politici in Unione Sovietica, gli imputati non si erano dichiarati colpevoli (cf. Pečuro 1997).
Soltanto a partire dal 1967 Sof’ja Kallistratova poté assistere diversi dissidenti, primo dei quali V. Chaustov, operaio e attivista condannato al lager per un totale di sette anni, che era stato arrestato per aver preso parte alla manifestazione in Piazza Puškin del 22 gennaio 1967 in difesa di A. Ginzburg, Ju. Galanskov, V. Laškova e A. Dobrovol’skij. In quell’occasione, Sof’ja Kallistratova dette prova delle sue notevoli capacità professionali: insistette per l’assoluzione del suo assistito incriminato ai sensi dell’art. 190-3 del Codice penale dell’RSFSR – che prevedeva la perseguibilità penale per l’“organizzazione o partecipazione ad azioni di gruppo di che violano l’ordine pubblico” (Amnesty International 1975: 22) – dimostrando che il luogo della manifestazione era stato appositamente scelto per non intralciare alcuna normale attività e, inoltre, tentò la riqualificazione del reato di cui all’art. 206 (disobbedienza alle autorità) in quello disciplinato dall’art.191-1, ovvero, “resistenza a un družinnik” (membro di una squadra di volontari) (Amnesty International 1975: 22). Quest’ultima richiesta venne accolta dalla Corte Sovietica e, infatti, Chaustov venne condannato a tre anni di carcere a regime normale. Era la prima volta in cui un avvocato si batteva per l’assoluzione di un caso politico senza contestare il fatto stesso, ma soltanto l’imputazione del reato e riuscendo, così, ad ottenere una diminuzione della pena prevista. Con questo brillante esordio S. Kallistratova iniziò a guadagnarsi la stima di molti dissidenti amici dello stesso Chaustov, tra cui L. Bogoraz, P. Grigorenko, R. Jakobson, V. Bukovskij e molti altri (cf. Pečuro 1997).
Kallistratova fu l’avvocata difensora della poetessa e dissidente Natal’ja Gorbanevskaja.  Tra il 1967 e il 1968, tra le due si creò un rapporto di forte solidarietà e intesa: all’epoca del processo a carico di Gorbanevskaja, che fu impossibilitata a presenziare personalmente alle udienze poiché dichiarata incapace di intendere e di volere, Kallistratova affrontò apertamente e con coraggio il giudice Bogdanov. Gli chiese di poter portare con sé in tribunale la sua assistita, affinché lui stesso potesse vedere con i propri occhi che ella era nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e fisiche (cf. Pečuro 1997). In quell’occasione, inoltre, durante il dibattimento non si risparmiò di mettere alle strette i dottori che avevano effettuato la perizia psichiatrica, come nel caso dello psichiatra Daniil Lunc, al quale chiese conto dei sintomi della fantomatica “schizofrenia latente/a decorso lento” (vjalotekuščaja/maloprogreditel’naja šizofrenija), una malattia psichiatrica riconosciuta come tale soltanto in URSS: “[…] Ci dica, esperto, quali sintomi di schizofrenia latente notate nella Gorbanevskaja?” E lui mi rispose: “La schizofrenia latente, come è noto, non ha alcun sintomo” (Pečuro 1997).
Sempre nel 1968, S. Kallistratova conobbe il generale P. Grigorenko e, appena due anni dopo, diventerà il suo legale. Quando Sof’ja Kallistratova raggiunse Grigorenko a Taškent[1], i due discussero i risultati contrastanti delle due perizie psichiatriche a cui il generale dissidente era stato sottoposto: la prima, eseguita nel 1969 nel carcere della cittadina uzbeka, lo dichiarava sano di mente; la seconda, effettuata dagli psichiatri dell’Istituto Serbskij di Mosca, invece, lo dichiarò incapace di intendere e di volere (cf. Clementi 2007: 119). Grigorenko raccontò che, in quell’occasione, Kallistratova richiese con insistenza ­ – inoltrando una petizione al giudice – una terza perizia psichiatrica. Sia l’avvocata che il suo assistito sapevano bene che quel processo aveva un verdetto già deciso, ma Kallistratova volle perseguire fino alla fine il suo obiettivo: e quando il professor Detengof, presidente della prima commissione, senza produrre alcuna nuova documentazione, affermò che erano stati compiuti degli errori nella prima perizia e che, in realtà, il soggetto esaminato era incapace di intendere e di volere, come si evinceva dalla perizia effettuata all’Istituto Serbskij (Pečuro 1997), allora Kallistratova stilò un documento con il quale contestava aspramente i metodi e l’esito della perizia psichiatrica, in cui si leggeva quanto segue: “Gli esperti non valutano le azioni del soggetto esaminato, non si accertano della loro congruenza o incongruenza con la realtà, della loro fondatezza, ma si limitano a indicare che non è stato possibile dissuadere il soggetto esaminato dall’erroneità dei giudizi. Inoltre, in contrasto con quanto riportato nel verbale di ricovero, i membri della commissione psichiatrico-forense ambulatoriale del 18 agosto dimostrano chiaramente che le dichiarazioni di Grigorenko non hanno un carattere morboso o delirante ma, al contrario, rappresentano una convinzione comune non soltanto a lui, ma ad una serie di persone” (Pečuro 1997).
Durante il processo a carico di Grigorenko, Kallistratova si adoperò indefessamente per denunciare tutte le irregolarità e le storture delle procedure applicate a sfavore del suo assistito, molto spesso attuate in totale spregio della legge (cf. Amnesty International 1975: 110). In quell’occasione denunciò persino che le perizie stilate dall’Istituto Serbskij violavano i principi di apoliticità e oggettività di giudizio necessari per garantirne la legittimità, visti i rapporti di stretta collaborazione che esistevano tra gli psichiatri dell’Istituto, i ministri della salute e il KGB: lo stesso Grigorenko, infatti, dichiarò di aver visto più di una volta il dottor Lunc in divisa militare durante lo svolgimento delle sue prestazioni mediche al Serbskij (cf. Amnesty International 1975: 112). Nonostante l’impegno e la tenacia dell’avvocata, Grigorenko, come molti altri assistiti di Kallistratova, fu condannato e rinchiuso in ospedale psichiatrico penitenziario: tuttavia, data l’esistenza di una tale sistema di repressione e di elusione dalla legge, anche una difesa di successo non portava all’assoluzione dell’imputato; era da considerarsi già un grande risultato riuscire ad evitare che l’imputato fosse dichiarato incapace di intendere e di volere.
Come attivista per i diritti umani, Sof’ja Kallistratova sposò la causa di Petro Grigorenko e si batté a lungo per il riconoscimento dei diritti dei tatari espulsi dalla Crimea. Con il decreto emanato il 5 settembre 1967, infatti, il Soviet Supremo si limitava a riconoscerli come cittadini di nazionalità tatara senza dare loro modo di registrarsi a tutti gli effetti sul territorio (come previsto dalla legge sovietica), e quando le autorità locali inasprirono sempre di più la legislazione sui passaporti e sulla residenza attraverso norme anticostituzionali, ci fu un’ondata di proteste e manifestazioni per il riconoscimento dei diritti civili dei tatari crimeani (cf. Clementi 2007: 114).
Nell’ottobre del 1968 Kallistratova – insieme all’avvocata Dina Kaminskaja e ad altri colleghi – assunse la difesa dei manifestanti della cosiddetta “dimostrazione dei sette” (demonstracija semerych), che si tenne il 25 agosto sulla Piazza Rossa in segno di protesta contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia. In quell’occasione Sof’ja Kallistratova difese l’imputato Vadim Delone (cf. ibid.).
A partire dagli anni Settanta anche gli avvocati difensori che si erano distinti per il loro attivismo per la causa dei diritti umani vennero presi di mira dalle autorità, le quali non si risparmiarono di esercitare diverse ritorsioni ai loro danni. Sof’ja Kallistratova assunse le difese della collega Dina Kaminskaja, accusata di essersi schierata contro l’autorità statale, e degli avvocati Monachov e Safonov, che erano stati radiati dall’Ordine degli Avvocati per la loro condotta considerata lesiva dei principi dell’avvocatura. Contro la stessa Kallistratova, invece, il potere si schierò meno apertamente, limitandosi a negarle il diritto di seguire i processi politici degli imputati accusati di aver violato l’art. 190-1, che prevedeva la perseguibilità del reato di diffamazione contro lo stato sovietico e contro il sistema socialista (cf. ibid.). Nonostante tali limitazioni e i numerosi ostacoli, Sof’ja Kallistratova non si arrese e continuò ad esercitare la sua professione in tribunale fino al 1975, anno dell’ultimo processo al quale partecipò in qualità di avvocata difensora.
Tuttavia, anche dopo essersi ritirata dall’avvocatura, Kallistratova non smise mai di battersi contro le illegalità del potere sovietico e iniziò a collaborare attivamente con i gruppi per la difesa dei diritti umani (cf. Pečuro 1997). Nel 1971 Valerij Čalidze, tra i fondatori del Comitato per i diritti umani in URSS (Komitet prav čeloveka v SSSR), la invitò a far parte del gruppo come consulente per le questioni giuridiche e legali.  Kallistratova scrisse una relazione anonima intitolata Il diritto alla difesa (Pravo na zaščitu) in cui si ribadiva il diritto dell’imputato di essere assistito in tutti gli stadi del processo penale dall’avvocato prescelto, come sancito dall’art. 3 della Costituzione sovietica (cf. Kallistratova 1971). Come attivista del Comitato, Sof’ja Kallistratova offriva supporto legale ai dissidenti e ai perseguitati politici che chiedevano aiuto e supporto per le loro vicende giudiziarie (cf. Klein 2004: 37-38) e prese parte a diverse campagne in loro difesa: nel 1974, ad esempio, scrisse una lettera aperta a favore di V. Bukovskij, all’epoca internato in un ospedale psichiatrico penitenziario (cf. Pečuro 1997).
Nel 1977 Kallistratova entrò a far parte del Gruppo Helsinki di Mosca (Moskovskaja Chel’sinskaja Gruppa, MChG) – nato su iniziativa di Ju. Orlov – che si proponeva di monitorare che l’URSS adempisse agli Accordi sottoscritti ad Helsinki l’anno precedente, denunciando agli altri stati sottoscrittori le violazioni dei diritti umani che si consumavano in Unione Sovietica. Kallistratova partecipò alle attività dell’MChG in qualità di membro-consulente della Commissione d’inchiesta sull’abuso della psichiatria per scopi politici, collaborando, tra l’altro, alla redazione di quasi tutti i documenti stilati dal gruppo (cf. Alekseeva 2006: 405). Questi documenti, spesso pubblicati sul bollettino samizdat «Cronaca degli avvenimenti correnti», e non di rado ripresi dalle agenzie di stampa straniere, riportavano ogni tipo di violazione dei diritti umani in modo puntuale e circostanziato ed erano solitamente corredati di dati statistici.  I dati raccolti riguardavano la detenzione nei lager, le condizioni di vita degli ex prigionieri politici, la lotta contro l’emigrazione forzata, la violazione dei diritti delle minoranze nazionali, dei disabili e dei parenti delle vittime della repressione. Il Gruppo Helsinki di Mosca monitorava anche le violazioni della libertà di espressione e di stampa.
Con l’intensificarsi della sua attività per la difesa dei diritti umani, parimenti crebbe l’interessamento poco lusinghiero delle autorità nei suoi confronti. A partire dalla fine degli anni Settanta, Kallistratova fu una sorvegliata speciale e, quando nel gennaio del 1980, la stretta del governo sugli attivisti finì per serrarsi anche sui membri dell’MChG – con il conseguente arresto di numerosi di loro – anche Sof’ja Kallistratova finì per essere una vittima delle repressioni e dell’arbitrio delle autorità che tanto e a lungo aveva strenuamente combattuto (cf. Pečuro 1997). Arrestata e processata nel 1982 ai sensi dell’articolo 190-1, lo stesso con il quale erano stati accusati numerosi dei suoi assistiti, il suo caso non venne reso pubblico fino al 1988, tuttavia, i suoi compagni di lotta scrissero una lettera aperta in sua difesa: “La incriminano per i documenti spediti dal Gruppo Helsinki di Mosca ai governi di tutti i paesi che hanno firmato l’Atto finale [della Conferenza di Helsinki] e, principalmente, al governo sovietico. Ciò significa correre il pericolo della privazione della libertà, dell’allontanamento dalle proprie famiglie […] nelle durissime condizioni di reclusione o di confino. […] Una persona anziana, gravemente malata, che è sopravvissuta a un infarto e a un ictus rappresenta, evidentemente, un grande pericolo per lo stato, secondo l’opinione dell’autorità. Ma per davvero nessuno, tranne un gruppetto di suoi amici, si farà avanti in sua difesa? Ma per davvero l’opinione pubblica mondiale lascerà che si compia questa rappresaglia!?” (Pečuro 1997).
Il suo arresto segnò la fine del Gruppo Helsinki di Mosca, che venne sciolto poco dopo. Ma, quando il governo prese atto della resa di Kallistratova e, con lei, dell’intero Gruppo, sospese il procedimento a carico dell’avvocata per “motivi di salute” (ibid). Quando il processo penale a suo carico fu archiviato, lei continuò a professarsi innocente.
Tuttavia, negli anni della perestrojka continuò ad essere un’attivista politica e partecipò al dibattito pubblico con diversi interventi: nel 1986 firmò una petizione con la quale si chiedeva l’amnistia per tutti i prigionieri politici; nel gennaio del 1988 prese parte alla conferenza tenutasi in occasione della fondazione di Memorial, un’organizzazione da sempre impegnata a preservare la memoria delle repressioni politiche del passato e a monitorare le violazioni dei diritti umani. Morì nel 1989, il 5 dicembre – che, per una coincidenza singolare quanto significativa, fino al 1977 fu il giorno in cui si festeggiava la Costituzione sovietica – e venne seppellita nel cimitero di Vostrjakovskij di Mosca (cf. Moskovskaja Chel’sinskaja Gruppa).

Note:

[1] Grigorenko si trovava nella città di Taškent, in Uzbekistan, quando venne arrestato dal KGB uzbeko il 7 maggio 1969, in quanto sostenitore del movimento dei tatari di Crimea (cf. Clementi 2007: 116).

Giulia Caponi
[30 giugno 2021]

Lavoro tratto dal seminario “Movimento dei diritti civili in URSS” tenuto da Ilaria Sicari (Corso di Letteratura Russa, CdS magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2019/2020).

Bibliografia

  • Alekseeva L., Pokolenie ottepeli, Zacharov, Moskva 2006.
  • Amnesty International, Prisoners of Conscience in the USSR: Their treatment and conditions, Amnesty International Publications, London 1975.
  • Clementi M., Storia del Dissenso Sovietico (1953-1991), ODRADEK edizioni, Roma 2007.
  • Kallistratova S., “Pravo na zaščitu”, in E. Pechuro (a cura di), Zastupnica: advokat S.V. Kallistratova (1907-1989), Zven’ja, Moskva 1997, http://www.belousenko.com/books/gulag/kallistratova/kallistratova.htm#44, online (ultimo accesso: 17/9/2021).
  • Klajn E., Moskovskij komitet prav čeloveka, Publikacii Muzeja i obšestvennogo centra imeni Andreja Sacharova, Sacharovskij Centr, Moskva 2004.
  • Moskovskaja Chel0sinskaja Gruppa, Kallistratova Sof’ja Vasil’evna, “Moskovskaja Chel’sinskaja Gruppa”, https://mhg.ru/kallistratova-sofya-vasilevna, online (ultimo accesso: 15/9/2021).
  • Pechuro E. (ed.), Zastupnitsa: advokat S.V. Kallistratova (1907-1989), Zven’ia, Moskva 1997, http://www.belousenko.com/books/gulag/kallistratova/kallistratova.htm, online (ultimo accesso: 15/7/2021).

To cite this article:
Giulia Caponi, Sof’ja Kallistratova, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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