Marija Jur’evna Ivašincova
(1942- 2000)
Descrizione:
Marija Jur’evna Ivašincova si forma nella Leningrado della cultura non ufficiale degli anni Settanta e Ottanta, realtà in cui intesse relazioni con personalità di spicco della scena underground della città, come il poeta Viktor Krivulin e il fotografo Boris Smelov. Da quest’ultimo riceverà in dono la macchina fotografica Leica IIIa con cui imprimerà su pellicola momenti di vita quotidiana, piccoli frammenti di ricordi, propri e di altri, emersi e diffusi postumi dalla figlia Asja Ivašincova-Melkumjan, che così descrive la passione materna: “Photography had always had a central place in our home, it never seemed significant — taking photographs, for my mother, was like breathing. I also just always assumed that the photography was helping my mother to get through life, I never thought that it was something special” (cf. Stewart 2018).
Maša Ivašincova era nata a Sverdlovsk, oggi Ekaterinburg, il 23 marzo 1942. Con sua madre e sua nonna, si era trasferita a Leningrado nel 1944. Dal 1961 al 1969 aveva frequentato la facoltà di studi teatrali presso il Leningradskij gosudarstvennij institut teatra, muzyki i kinematografii (Istituto Statale di teatro, musica e cinema di Leningrado), specializzandosi in recitazione e regia. Uno dei registi da lei prediletti è Peter Brook, che aveva presentato in URSS due riduzioni teatrali: l’Amleto nel 1955 e il Re Lear nella primavera del 1964. A quest’ultimo spettacolo assisterà anche la Ivašincova a Leningrado. Nel 1964 incontra e sposa il linguista di origine armena Melvar Melkumjan da cui avrà, un anno dopo, la sua unica figlia, Asja Ivašincova-Melkumjan, vera artefice del recupero artistico dell’opera fotografica materna.
Dopo il trasferimento di Melkumjan a Mosca con la figlia nell’aprile del 1969, Ivašincova farà la spola tra Mosca e Leningrado fino al 1974, anno in cui conosce Boris Smelov proprio su uno dei treni di questa tratta. All’incontro segue il periodo più intenso e proficuo della sua produzione artistica, che si intreccia indissolubilmente a una realtà costellata di lavori saltuari: lavora come corrispondente per la rivista “Teatr” (teatro) dal 1970 al 1986; è bibliotecaria, addetta al guardaroba, tecnico delle luci presso il Teatr Junogo Zritelja (Teatro dei giovani) e ascensorista.
Verso la fine degli anni Settanta instaura una relazione amorosa tormentata con il poeta Viktor Krivulin, come si evince dalla loro corrispondenza (cf. Kurmanaev 2013: 168-204) e come traspare dalle parole del poeta riportate di seguito: “Di ciò che ho scritto, non sono i versi in sé a piacermi, poiché lì c’è qualcosa di totalmente diverso, che probabilmente possiamo capire solo io e te, a meno che tu non sia precipitata nel completo oblio di tutto ciò che ci legava” (cf. Ivi: 172).
Inseritasi a pieno in quel sostrato composito che è la ‘Seconda cultura’ leningradese, grazie a Krivulin e Smelov partecipa agli incontri di intellettuali e artisti che si tengono regolarmente negli appartamenti della città. Diventa con i suoi scatti testimone delle atmosfere pietroburghesi e della cultura underground. Tuttavia, tiene nascoste per decenni a occhi estranei le sue foto e le sue poesie.
Nel dicembre del 1981, a seguito di una forte depressione, viene internata nell’ospedale psichiatrico n. 6 sull’Obvodnyj kanal, da cui entra ed esce più volte nell’arco di dieci anni. Assistita dalla figlia, Marija Ivašincova gravemente malata, muore a San Pietroburgo nel 2000.
Esattamente diciassette anni dopo, tra le scatole ammassate nella soffitta della loro casa di San Pietroburgo, Asja e il marito Egor scoprono trentamila negativi avvolti con cura in carta da lettere con annotazioni, poesie e lettere della madre. “Ad entrare in quella stanza, senza Egor, mio marito – dice – non ci sarei mai riuscita. Maša con me era silenziosa, con gli altri invece allegra. Adesso affronto un nuovo processo di conoscenza di mia madre, attraverso le fotografie” (cf. Iaccarino 2021: 37).
L’archivio segreto si rivela un collage di tasselli irripetibili, che raccontano storie di istanti rubati, prive di connotazione politica o categorizzazione sociale.
La lontananza dalla politica e dalla critica all’URSS, facilmente assimilabile a una visione binaria che racchiude la società sovietica in due poli opposti e rigidi nella loro significazione, è sottolineata con vigore in un post del 29 gennaio 2019, pubblicato su Facebook sulla pagina dedicata gestita dai coniugi Egor e Asja: “Media sometimes describe Masha’s photography as political and ‘anti-soviet’, sort of an active statement against the Soviet Union. That’s not the point. Yes, her photographs were very different from those photographic standards, which were imposed by the Soviet state at the time (happy factory workers, smiling mothers, sporting achievements, etc). They also lacked all the socialist grandeur. But they were not a political statement. Masha was never political in what she was doing, regardless of what she had to go through because of that political regime. To her, politics was irrelevant — and that was already a crime big enough in the eyes of the Soviet state”.
Nella nostra breve corrispondenza, Egor ci tiene a ribadire che: “il lavoro di Maša è lontano dalla politica, dai ‘realia sociali’ e dai ‘problemi dell’URSS’. Il lavoro di Maša è sull’amore. C’è tenerezza, sgomento e amore nei volti degli eroi delle sue fotografie. Nei suoi scatti non c’è la ‘dolorosa lotta per la verità’, né pose, né il desiderio di insistere su qualcosa, tipico dei ‘fotografi professionisti’ e degli eroi dell’’underground sovietico”.
L’essere umano in quanto tale, nella sua spontaneità, è il protagonista indiscusso degli scatti della fotografa: bambini sorridenti e bambini imbronciati, famiglie immortalate in momenti conviviali, passanti, sguardi cristallizzati, ritratti singoli ed immagini collettive. Storie diverse si intersecano e la Ivašincova è l’unica costante, l’unica testimone. I fulcri attrattivi, cardine della sua fotografia, non sono soltanto esseri animati, ma anche oggetti che riunisce in plastiche nature morte, paesaggi, e scatti, scevri da ogni artificio, sottratti ad una Leningrado, che muta nel corso dei decenni, tanto da diventare un’altra, e trasformarsi in San Pietroburgo all’alba di una nuova era.
Sul sito ufficiale della fotografa è prevista una sezione Ulicy Leningrada (Le strade di Leningrado) dove la concatenazione delle immagini della città, suddivise in una sequenza temporale dal 1961 al 1999, rimanda a un’iconografia urbana estremamente varia, nevosa, affollata nelle celebrazioni e momenti di festa, indaffarata, spoglia.
Nel repertorio, oltre alle effigi della sua città, molto spazio è dedicato a Mosca e a scorci di luoghi visti di sfuggita in viaggio, in Georgia, Bielorussia, Armenia, Lituania e Ucraina.
Al mondo esterno si contrappone anche una fotografia intima, i cui soggetti prediletti sono quelli a lei più vicini, protagonisti della sua vita e dei suoi ricordi: foto di Asja bambina, primi piani di Melkumjan, Krivulin e Smelov (ricordiamo gli scatti ad opera della Ivašincova alla prima mostra personale del fotografo nel 1975 presso il Dom Kul’tury ‘Vyborgskij’), momenti strappati alle cene negli appartamenti di amici leningradesi, come nel caso delle fotografie della festa di addio a Tat’jana Goričeva nel 1980, fino ad arrivare all’introspezione più assoluta catturata in alcuni autoscatti allo specchio. L’illuminazione è sempre naturale, la macchina fotografica è la Leica IIIa che si romperà nel marzo del 1990, per essere poi sostituita da altre prima dell’acquisto dell’automatica Leica mini II nel 1998.
L’amore è al centro della sua opera fotografica, ma è anche il sostrato dei suoi versi, in una ricerca che a tratti sembra estenuante:
“Più amore; / più amore, / datemi amore. / Soffocavo / nel freddo. / Ah, come è freddo / ovunque! / Amore è / rinascita“[1].
In un continuo gioco di luci ed ombre, i suoi versi rispecchiano e rimandano all’esterno spazi bui del reale, cose non dette, lontananze e luoghi oscuri dell’animo:
“Non ci incontreremo mai io e te, – / non un indirizzo né un numero di telefono. / E tu sei lontano e così alieno, / Come potresti conoscere / la Babilonia / in cui mi hanno gettata i miei deliri malati / su un oscuro destino / sui bivi fatidici… / Eclissi e banchine innevate /Dove ti ho atteso, – / dove avremmo potuto essere. / Una cattiva intenzione, / un’ingiustizia, / non potremmo mai esserlo. / Non ci siamo incontrati io e te, / Questa la mia risposta al medico… / E i vagoni, / dove vaghi da solo / tutto ricoperto di neve…”[2]
Le poesie di Maša Ivašincova sono riunite in una breve raccolta del 1993 dal titolo Bezmolvnye stichi (Versi muti). Alcune pagine sono state stampate in occasione della mostra fotografica dal titolo evocativo Chiaroscuro, che ha avuto luogo dal 4 dicembre 2019 al 1° marzo 2020 presso il Juhan Kuus Documentary Photo Centre a Tallinn. Chiaroscuro non è stata l’unica mostra personale della fotografa: gli scatti della Ivašincova sono stati mostrati anche a New York nel 2018 all’International Center of Photography con il titolo Masha Ivashintsova, Street Photographer e a Bydgoszcz, in Polonia, nel 2019 nell’ambito del IV Vintage Photo Festival con il titolo Masha Ivashintsova – Brought to Light. L’allestimento della mostra di New York, la prima in assoluto dell’artista, prevedeva la proiezione delle foto sulle finestre dell’edificio, così da essere viste dai passanti, in un esperimento immersivo, irrompendo prepotentemente nelle loro vite.
La sua produzione artistica è fruibile sul sito https://mashaivashintsova.com/ e sull’omonima pagina Facebook, grazie al considerevole lavoro di scannerizzazione dei negativi ritrovati, tutt’oggi in divenire, a cura di Asja Ivašincova-Melkumjan e del marito Egor.
Note
[1] Cf. testo originale: “Болбше любви; / болбше любви, / дайте любви. / Я задыхалась в холоде. / У, как везде / холодно! Любовь есть / возрождение”.
[2] Cf. testo originale: “Мы никогда не встретимся с тобой, / ̶ Нет адреса и нету телефона. / И ты далёкий и такой чужой, / Откуда знать тебе. / В какие Вавилоны. / Забросил бред больной. / О сумрачной судьбе, / О перепутьях судеб… / Затмение и снежные перроны, / Где я ждала тебя, / ̶ Где мы могли бы быть. / Злой умысел, / Судебная ошибка, / ̶ Нам никогда не быть. / Не встретились с тобой, / Вот и ответ врачу … / И жёсткие вагоны, / Где ты один блуждаешь / Весь в снегу…”.
Marta Capossela
[31 dicembre 2022]
Bibliografia
- Alla scoperta di Masha Ivashintsova, “Internazionale”, 10 luglio 2018, https://www.internazionale.it/foto/2018/07/10/masha-ivashintsova-foto, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Canale YouTube ufficiale Masha Ivashintsova, https://www.youtube.com/channel/UC1nuxHrDGysb06X9O-B3ofQ/videos, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Čappel A., Poterjannyj leningradskij fotograf, “Radio Svoboda”, https://www.svoboda.org/a/leningrad-photographer-never-showed-her-photos-of-soviet-life-to-anyone-years-later-relatives-discovered-her-work/29094015.html, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Feigin L., The Secret Stash of Soviet Street Photographer Masha Ivashintsova, “Mother Jones”, July/August 2018, https://www.motherjones.com/politics/2018/06/vivian-maier-secret-stash-soviet-street-photographer-masha-ivashintsova-instagram/m, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Iaccarino A. G., L’Unione Sovietica nascosta negli scatti di una donna, “Il Fatto Quotidiano”, 20 dicembre 2019, https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/12/30/lunione-sovietica-nascosta-negli-scatti-di-una-donna/5642542/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=inedicola-2019-12-30&fbclid=IwAR1ceG69VkSEGbG2HZssgkyi7w0YW9AYS2NH_weMKx61bUIXF0N20wyXjoI, online, (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Iaccarino A. G., Masha, la fotografa pietroburghese che nascose i suoi negativi in soffitta, “Reportage”, XII, 48 (2021): 36-43.
- Kurmanaev V. (a cura di), Viktor Krivulin. Pis’ma k Marii Ivašincovoj, “Russkij mir””, 8 (2013): 168-204.
- Morozova K., Kak na čerdake našli 30000 snimkov Leningrada neizvestnogo (i očen’ talantlivogo!) fotografa, “Sobaka.ru”, 18 maggio 2018, https://www.sobaka.ru/entertainment/art/73149, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Pagina Facebook Ufficiale Masha Ivashintsova, https://www.facebook.com/mashaivashintsova, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Piretto G. P., Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica, Cortina Raffaello, Milano (2018): 465-467.
- Sabbatini M., Leningrado underground. Testi, poetiche, samizdat, WriteUp, Roma 2020.
- Sito Ufficiale Maša Ivašincova, https://mashaivashintsova.com/, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Stewart J., Interview: Woman Discovers Over 30,000 Secret Photos Left Behind by Her Mother, “My Modern Met”,19 marzo 2018, https://mymodernmet.com/masha-ivashintsova-photography/, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
Cita come:
Marta Capossela, Maša Ivašincova, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
© 2021 Author(s)
Content license: CC BY 4.0