Il samizdat è, per essenza, una comunità e una sfida, un luogo potenzialmente molto ampio di condivisione ideologica ed estetica dei propri testi e del rischio intrinseco alla violazione della norma e della convenzione sociale. Tra quanti non volevano o non potevano uniformarsi ai criteri della letteratura sovietica ufficiale non pochi erano indisponibili alla condivisione e, soprattutto, a mettersi in gioco in prima persona. Non meno underground, occulte, reiette, queste figure di creatori, spesso originalissimi, compiuto il passo, sempre cruciale, della rinuncia a vedersi ufficialmente pubblicati, accettano anche il destino lancinante di scrivere solo per sé stessi e riporre le opere nel cassetto, posponendone mentalmente la fruizione a un futuro indeterminato, che nella maggior parte dei casi è stato successivo alla loro morte.
Le circostanze di vita e le motivazioni dell’isolamento sono estremamente varie. Si tratta soprattutto di artisti poliedrici, impegnati in campi creativi soggetti a minor censura, come il teatro (Evgenij Šiffers, Evgenij Charitonov), la traduzione poetica (Asar Ėppel’), le sceneggiature di cartoni animati (Gennadij Cyferov), e per questo restii a sacrificare una facies ufficiale almeno in parte gratificante. Oppure l’isolamento è scelto per delusione nei confronti dei canali letterari ufficiali e non ufficiali (Vladimir Gubin) o per un insormontabile timore delle persecuzioni (Valerij Cholodenko). In tutto assimilabile è la microcircolazione di testi estremamente complessi o sperimentali in un ambito molto ristretto di conoscenti (Pavel Ulitin).
Il testo riposto nel cassetto è soggetto in maniera ancor più drastica ai paradigmi connotativi della letteratura clandestina: un’insanabile incompiutezza ontologica e la coazione a modificare, rielaborare ad libitum (che in Gubin arriva alla declinazione in un unico testo-vita). Si tratta per lo più di testi in prosa, che meglio costituivano un appiglio, un’ancora di riferimento interno, o meglio davano l’illusione corporea del libro.
La mancata circolazione accentua naturalmente il rischio di dissipazione del testo, tanto in vita (il sequestro dei manoscritti di Ulitin) che post mortem. L’uscita dal cassetto è stata possibile per la maggior parte degli scrittori di questa sezione soprattutto negli anni Novanta, in virtù di iniziative editoriali di nicchia, spesso sostenute da amici intimi, la cui fruibilità è oggi comunque problematica. In non pochi casi, però, un numero consistente di manoscritti resta tuttora inedito, e l’eventualità di smarrimento irreparabile si fa esponenziale.
Mario Caramitti
[31 dicembre 2022]
Cita come:
Mario Caramitti, Samizdat v stol: una introduzione, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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