Vladimir Gubin. Fonte: Knižnaja Lavka Pisatelej © 2023

Autore: Vladimir Gubin (1934-2003)

Anni di redazione: 1976-1997

Anno di prima pubblicazione: 1997

Luogo di edizione: San Pietroburgo

Descrizione:
Scrivere, rifinire, cesellare, dedicare vent’anni, buona parte di un’intera vita, a un testo, che, per la dedizione di cui è fatto oggetto, si potrebbe definire l’unico, nella convinzione che “la vera letteratura è un regalo, e mai merce di largo consumo” (Gubin, in Dar 2002: 136). E, come naturale conseguenza di questa stessa convinzione, lasciarlo nel cassetto, desistere, poco dopo la prima stesura (data alle stampe solo grazie all’ostinazione di un altro gorožan, Vladimir Maramzin, sulla rivista tamizdatĖcho” nel 1984), da ogni velleità di vederlo pubblicato in Unione Sovietica o all’estero, ribadendo così la propria più totale e definitiva alterità, l’impossibilità ontologica di riconoscersi in quel sistema, così come negli anti-sistemi che ne derivavano. Senza darlo in lettura nemmeno agli amici più stretti, senza farlo circolare nemmeno in samizdat, rendendosi volontariamente invisibile, un anonimo impiegato della Lengaz pur sempre accompagnato, nel gioco antifrastico caratteristico di tanti autori underground che è al tempo stesso autodenigrazione e autoesaltazione, da una profonda consapevolezza di sé e del proprio valore letterario. Da questa consapevolezza profonda deriva l’orgogliosa affermazione della propria arte fornita da Vladimir Gubin (1934-2003) e riportata da un incredulo, quasi sarcastico, Sergej Dovlatov in Remeslo [Il mestiere]: “È vero, non giro per case editrici. È inutile. Ma scrivo. Scrivo per notti intere. E raggiungo vette che non avrei mai nemmeno sognato!” (Dovlatov 2014: 23). Serviranno prima la caduta dell’URSS e, poi, la solerte pressione di Oleg Jur’ev per far uscire finalmente questo testo straordinario dal cassetto e darlo alle stampe. Vero è che la tarda ricezione non gli avrebbe permesso di ricevere la dovuta attenzione da parte di critica e lettori.
L’operazione che Vladimir Gubin compie durante i vent’anni di lavoro solitario che separano l’ideazione di Illarion e Karlik dalla sua versione finale si caratterizza non come un’azione di puro labor limae, ma piuttosto come una modalità per riconoscere e definire la propria identità artistica che vede le proprie radici in due momenti centrali nella formazione dell’autore: dagli anni Cinquanta, il confronto costante e continuo, testimoniato anche dal vivace scambio epistolare e solo in parte pubblicato, con David Dar (cf. Dar 2002), il quale, anche con estrema durezza, aiuta il giovane a liberarsi da ogni manierismo per scoprire la sua voce più autentica e, negli anni Sessanta, l’incontro con gli altri Gorožane e la comune preparazione delle due raccolte, rifiutate dalla censura e rimaste inedite, entrambe arricchite da una prefazione del già citato Dar. È dalle riflessioni avviate in questi anni e, in primo luogo, dall’“odio per la lingua insulsa” (Gorožane 1966: 4), infatti, che si andrà a definire la poetica matura dell’autore, portata a compimento nell’ultima versione di Illarion e Karlik, e vissuta in maniera privata, scrivendo solo per sé. Il culto della parola, unito a “un’indistruttibile e inappagabile nostalgia per la perfezione del testo” (Jur’ev 2014: 139), si unisce all’urgenza etica di sopravvivere all’interno di un sistema che tendeva in ogni modo a ridurre al silenzio le voci discordanti dal coro. Proprio per questo, la via scelta da Gubin – come da altri artisti di quella stessa generazione – va nella direzione di una ricostruzione dello strappo avvenuto con la rivoluzione rispetto alla cultura di inizio secolo. L’Età d’argento e il modernismo, che lo stato sovietico non era stato in grado di piegare ai propri scopi ideologici in virtù della loro complessità e stratificazione, diventano allora la tradizione a cui rifarsi anche per trovare legittimazione alle proprie stesse ricerche e al proprio stesso sentire (cf. Berg 2003: 5). Nel caso specifico di Gubin, interlocutore primo e privilegiato è l’Andrej Belyj di Maski [Maschere, 1932], opera che si può definire come la più compiuta e tarda incarnazione della poetica matura di uno degli artisti di maggior rilievo del modernismo. L’indagine teorica e pratica di Belyj sui confini tra prosa e poesia, così come su metro e ritmo, lo aveva portato, negli anni, a lavorare sempre più in direzione della veste metrica integrale del testo in prosa; di tale tentativo, Maski, opera quasi integralmente metricalizzata, è la rappresentazione più organica. A questo nobile precedente guarda Gubin nel mettere a punto Illarion e Karlik, superandolo addirittura in raffinatezza: più del 90% del testo è metrizzato ma qui le catene metriche sono corte, spezzate, i metri (perlopiù ternari) si alternano e accavallano in maniera armonica senza creare quel ritmo monotono che era stato indicato dai critici come il maggior limite dell’operazione compiuta da Belyj (cf. Albanese 2020a). In questo modo il metro diventa quasi invisibile e, solo per il lettore più attento e coinvolto (quell’agognato lettore ideale per il quale tanti sognavano di scrivere), si svela come ulteriore chiave di lettura, offrendo un contributo fondamentale alla ricostruzione delle reti di rimandi interne al testo.
La metricalizzazione non è, però, l’unico elemento a svelare gli anni di lavoro solitario e certosino che frappongono anni luce di distanza tra il testo del 1984 e quello del 1997, tanto da farli sembrare quasi due libri diversi, dei quali solo al secondo spetta di diritto il titolo di capolavoro: qui, infatti, l’alternarsi dei registri stilistici si fa più sapiente, sottolineando ulteriormente la centralità della Parola, la caratterizzazione dei personaggi principali si approfondisce, pur senza trasformarsi mai in analisi psicologica, e assume un rilievo sempre maggiore la riflessione sull’arte, la scrittura e la sua sorella-antagonista, la grafomania. Inoltre, nel secondo capitolo, consistente in un susseguirsi di puntini di sospensione seguiti da “ecc. ecc. Questo non è destinato alla stampa” (Gubin 1997), l’(auto)censura viene rappresentata graficamente in maniera esemplare.
Fulcro della scarna trama è lo scontro tra Karlik, scrivano e impiegato della Torre in cui dimorano le teste dei grandi del passato, in teoria deputate a prendere decisioni sul destino dell’umanità (in teoria, perché è in realtà lo stesso Karlik a farne le veci), e Illarion, monarca assetato di sangue, grafomane ipostasi di Stalin dai tratti più canini che umani, circondato dal suo esercito di pulci. L’azione è in sé statica e, per i primi tre capitoli sui quattro totali (includendo l’anomalo capitolo 2 già descritto), è sostanzialmente inesistente: sparute scene tra loro scollegate e comunque situate su una linea temporale volutamente confusa e contraddittoria si alternano a ben più sostanziose digressioni sul ruolo dell’arte e dell’artista in una società animalesca e svuotata di senso e prospettive. A metà strada tra i due, ma più in direzione di una virtuosa possibilità di redenzione, è il poeta Grafaill, già dal nome un grafomane Raffaello, alla disperata ricerca di una casa editrice che pubblichi i propri testi e che condensa in sé il topos del poeta-rinnegato, così come la sorte di un’intera generazione di scrittori (cf. Caramitti 2015). Il quarto e ultimo capitolo vede infine il presunto scontro tra i due, con Karlik che, di punto in bianco, viene descritto come l’uccisore di Illarion e si ritrova in aula, nel bel mezzo di un processo per questo crimine a cui presenzia lo stesso redivivo (o forse no) monarca. L’inattendibilità, dunque, come cifra stilistica di tutto ciò che non è la parola in sé e le catene di significati e rimandi interni che genera. A chiudere il testo, icasticamente, è l’affermazione “Io amo il Tempo”: oltre le assurdità e le atrocità del presente (che è contemporaneamente passato e futuro) Gubin sembra affermare che a rimanere è solo il tempo, unica forza in grado di restituire all’artista il dovuto, non appena i tempi (di nuovo!) saranno maturi.

Noemi Albanese
[31 dicembre 2022]

Bibliografia:

  • Albanese N., Reviving Andrei Bely’s heritage: Metricalization in Vladimir Gubin’s Illarion i Karlik, “Between”, X.19 (2020a): 1-20, https://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/4029 (ultimo accesso: 31/12/2022).
  • Albanese N., “Sotovarišči po vyživaniju”. Vladimir Gubin, Illarion i Karlik (1976-80), in Compagni di sopravvivenza. Culto della parola e dissenso estetico nell’underground sovietico, UniversItalia, Roma 2020b: 63-97.
  • Ar’ev A., Gubin Vladimir Andreevič, in Literaturnyj Sankt-Peterburg. XX vek. Ėnciklopedičeskij slovar’ v 3 tomach. Tom 1 (A-D), Beresta, Sankt-Peterburg 2015: 647-649.
  • Berg M., Vospominanija o buduščem, in Kollekcija: Peterburgskaja proza (leningradskij period). 1970-e, Izd-vo Ivana Limbacha, Sankt-Peterburg 2003: 3-20.
  • Caramitti M., Il laboratorio infinito di Vladimir Gubin, “Enthymema”, XII (2015): 100-108, http://riviste.unimi.it/index.php/enthymema/article/view/4947/4996 (ultimo accesso: 31/12/2022).
  • Dar D., Pis’ma D.Ja. Dara k V. A. Gubinu, vstup. zametka V. Gubina, “Zvezda”, 8 (2002): 136-151.
  • Dovlatov S., Remeslo, Azbuka-Klassika, Sankt-Peterburg 2014.
  • Gorožane, Gorožane. Vtoroj sbornik, Leningrad 1966 (ms.)
  • Gubin V., Illarion i Karlik. Skazano na Rusi v 4-ch častjach doveritel’no Michailu Èfrosu, “Ècho”, 13 (1984): 148-205.
  • Gubin V., Bašnja (Glava iz romana “Illarion i Karlik”), “Sumerki”, 12 (1991): 40-70.
  • Gubin V., Illarion (Glava iz romana “Illarion i Karlik”), Kamera chranenia V, Sankt-Peterburg 1996: 43-69.
  • Gubin V., Illarion i Karlik. Povest o tom, čto…, Kamera chranenija, Sankt-Peterburg 1997 (ristampato in Kollekcija: Peterburgskaja proza (leningradskij period). 1970-e, Izd-vo Ivana Limbacha, Sankt-Peterburg 2003: 453-542).
  • Jur’ev O., Pisatel’ kak sotovarišč po vyživaniju: o Vladimire Gubin, in Pisatel’ kak sotovarišč po vyživaniju. Stat’i, ėsse i očerki o literature i ne tol’ko, Izd. Ivana Limbacha, Sankt-Peterburg 2014: 135-141.


Cita come:
Noemi Albanese, Illarion e Karlik (V. Gubin), in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
© 2021 Author(s)
Content license: CC BY 4.0