Novo Rakitino, 1915 – New York, 1987
Vasilij Jakovlevič Sitnikov è considerato il “più vecchio artista non-conformista” (Glezer 1986: 63). Nei primi anni Cinquanta, al volgere del regime staliniano e ben prima dell’emergere di una scena artistica propriamente underground, Sitnikov intraprese una via autonoma e alternativa all’arte ufficiale sovietica, rivelandosi precursore non tanto nella sua produzione artistica, quanto nella formazione di giovani leve artistiche e nell’intercettazione di nuovi canali di divulgazione della propria arte al di fuori dei confini nazionali.
Nato durante la Prima Guerra Mondiale da una famiglia contadina in un villaggio sul Don, all’età di sei anni si trasferì a Mosca, dove, maturata la passione per la pittura, tentò la carriera artistica. In seguito alle mancate ammissioni all’Accademia di Belle Arti e all’Istituto artistico moscovita tra il 1934 e il 1935, Sitnikov proseguì la propria formazione da autodidatta, guadagnandosi da vivere tramite lavori occasionali. Nel 1938 riuscì ad accedere all’istituzione artistica più prestigiosa, l’Istituto Surikov, per occuparsi tuttavia della conservazione e della proiezione di diapositive per i corsi di storia dell’arte, da cui l’appellativo Vas’ka-Fonarščik (Vas’ka il lampionaio). In quegli anni, approfittando della possibilità di accedere alle classi di disegno e di pittura, realizzò numerosi studi dal vero di modelle, nature morte, calchi di gesso e riproduzioni di opere. Stimolato dall’ambiente artistico dell’accademia, ne apprese metodi e tecniche, pur ripudiandone l’approccio ideologico e imparando a “fare dei bellissimi ritratti morti di gente viva” (cit. in Miele 1971: s. p.).
Nel 1941, in seguito all’Operazione Barbarossa, Sitnikov raccolse numerosi volantini di propaganda nazista, stampati in cirillico su carta colorata e distribuiti dalla Luftwaffe: un materiale da disegno raro e prezioso che tuttavia, una volta confiscato dalla polizia militare sovietica, gli costò l’arresto e la reclusione nel carcere psichiatrico di Kazan’ fino alla fine del conflitto. In questo periodo realizzò minuti ritratti a penna dei compagni di cella, testimonianza lucida tanto dell’ambiente circostante quanto delle sofferenze, fisiche e mentali, qui patite.
Nei primi anni Cinquanta Sitnikov iniziò a impartire lezioni private di pittura nella sua abitazione moscovita, dapprima in Rybnikov pereulok (1951-1964), quindi in via Malaja Lubjanka (1964-1969), a pochi passi dal quartier generale del KGB, e infine in periferia, in via Ibragimova (1969-1975). L’“accademia domestica” istituita nel suo appartamento costituì uno dei primi luoghi di formazione e aggregazione di giovani artisti al di fuori dell’ambiente ufficiale; tra questi Aleksandr Charitonov, Alëna Kircova, Vladimir Petrov-Gladkij, Vladimir Titov e Jurij Vedernikov. Un testimone oculare di queste lezioni fu il critico e pittore romano Franco Miele, conosciuto durante uno dei suoi frequenti viaggi a Mosca, che a proposito dei discepoli di Sitnikov scrisse: “Praticamente collaborano alla realizzazione di diverse opere del loro maestro, come in un’antica bottega d’arte, senza ambizioni ‘personalistiche’ o d’ordine culturale. La scrupolosa fattura dell’opera è il centro esclusivo di ogni creazione, secondo gli interessi tematici che di volta in volta vengono impartiti dallo stesso Sitnikov, che poi procede al lavoro di rifinitura vera e propria” (Miele 1973: 460). Lascito di questa intensa attività pedagogica sono i numerosi disegni realizzati a quattro mani, il più delle volte a pastello, penna e matita su carta intelata, a margine dei quali l’artista riporta i dati tecnici (luogo, datazione, nome dello studente) seguiti da annotazioni, in un russo incurante di qualsiasi regola ortografica e sintattica, sui progressi raggiunti dallo studente nelle diverse fasi di realizzazione. Una costante in questi lavori, e in generale nell’intera opera di Sitnikov, sono i soggetti femminili, dagli studi di modelle e ritratti di conoscenti realizzati negli anni della sua formazione da autodidatta, ai più maturi cicli pittorici su soggetti quali le bagnanti o le gitane. Questi lavori sono inspirati a una “moglie mitica”, per la quale spesso utilizzava come modella un fantoccio-feticcio (cf. Sjeklocha, Mead 1967: 190). Si tratta per la maggior parte di immagini vanescenti di donne, spesso prive di tratti fisionomici e fluttuanti in uno spazio ovattato, ottenuto attraverso un minuzioso lavoro di sfumato e una tavolozza fredda di tinte pastello tendenti al monocromo.
Un ulteriore soggetto ricorrente, divenuto poi vero e proprio marchio di fabbrica di Sitnikov, sono i cremlini, coperti da una coltre di neve, illuminati da cieli stellati oppure sormontati da stormi di corvi. Si tratta di rappresentazioni realizzate in tonalità sgargianti e immerse in un’atmosfera fiabesca, per le quali l’artista attingeva dal folklore e dall’immaginario dell’antica Rus’, aggiungendovi a volte del suo, come personaggi caricaturali tratti dal presente sovietico. Realizzati nel formato del dittico o del trittico, questi paesaggi includono spesso la figura di Sitnikov immortalata nell’atto del dipingere la tela stessa, segno di una volontà di affermazione e di autolegittimazione del proprio status di artista. In altri lavori, l’autoritratto di Sitnikov assume altre vesti, dal ciabattino allo sciamano fino al vagabondo, sottolineando a volte il lavoro artigianale dell’artista, a volte la sua condizione di erranza.
La produzione in serie dei cremlini di Sitnikov fu realizzata su richiesta (a volte su commissione vera e propria) dei numerosi acquirenti stranieri di stanza o di passaggio a Mosca. Fin dagli anni Cinquanta, Sitnikov godette infatti del sostegno di diversi diplomatici, tra cui gli ambasciatori di Stati Uniti, Spagna e Tunisia, di collezionisti e giornalisti stranieri, come Norton Dodge e Nina Stevens, moglie russa di Edmund Stevens, storico corrispondente a Mosca di diverse testate statunitensi. Queste immagini, tra il surreale e il kitsch, vengono incontro sia al gusto dei collezionisti occidentali sia ai più triti luoghi comuni della Russia, tanto da far guadagnare all’artista il nomignolo di “venditore di souvenir” (cf. Zagdansky 2002). Elemento onnipresente sono i fiocchi di neve, talmente caratterizzanti da diventare, in assenza di un vero e proprio mercato dell’arte, il parametro di stima dei propri lavori. Come ricorda l’artista Vladimir Nemuchin, Sitnikov stabilì la seguente regola: “per ogni fiocco un rublo” (cit. in Ural’skij 1999: 9). Sitnikov divenne così uno dei più quotati esponenti della cosiddetta dip-art (da diplomatic art): un termine utilizzato per definire non un preciso stile o genere artistico, quanto i canali di divulgazione e fruizione di quest’arte, che iniziò a circolare anche all’estero nelle valigie diplomatiche, esenti da controlli e perquisizioni alle frontiere.
Tra il 1962 e il 1963, quattro suoi dipinti a tecnica mista su carta entrarono nella collezione del Museum of Modern Art di New York, come donazione di Jimmy Ernst, figlio del più noto artista Max; più tardi, nel 1968, il museo acquistò un quinto lavoro (Betulla, 1961). Questi lavori furono esposti a cadenza regolare, tra il 1963 e il 1974, nell’ambito delle rassegne organizzate dal MoMA con le nuove acquisizioni. Tra queste, La steppa (1960), primo lavoro acquisito, fu selezionato per la mostra collettiva Contemporary Soviet Art, inaugurata il 26 settembre 1974, in segno di solidarietà alla famigerata Mostra dei bulldozer del 15 settembre dello stesso anno (cui Sitnikov alla fine non aveva partecipato, nonostante il suo nome fosse inizialmente comparso tra gli espositori in alcune versioni dell’invito dattiloscritto). Le acquisizioni del MoMA segnarono un punto di svolta per Sitnikov e, in generale, per la visibilità degli artisti non conformisti al di fuori dei confini nazionali. La circostanza di “essere noto all’estero”, e per di più rappresentato dall’antesignano dei musei di arte moderna e contemporanea, incrementò considerevolmente il prestigio dell’artista agli occhi dei numerosi collezionisti e appassionati d’arte stranieri, che in quegli anni iniziarono a recarsi a Mosca, spesso già muniti di liste di artisti da visitare. Di conseguenza, a partire dagli anni Sessanta, i lavori di Sitnikov furono esposti all’estero in mostre collettive dedicate all’arte non ufficiale sovietica. La sua prima mostra personale si tenne nel 1971 in Italia, presso il Centro di Iniziative Culturali di Avezzano, in provincia di L’Aquila, su iniziativa di Franco Miele, il quale l’anno precedente aveva dedicato all’artista un primo scritto monografico (cf. Miele 1970).
Nell’ottobre del 1975, all’età di 60 anni, fu tra i primi artisti non conformisti a emigrare all’estero. Trascorse i primi cinque anni del suo esilio in Austria, prima a Vienna, poi a Kitzbühel, dove lavorò per il suo “impresario”, il gallerista Ferdinand Maier. Nel 1977, in una lettera all’allora Presidente della Biennale di Venezia Carlo Ripa di Meana, scrisse: “Quando abitavo a Mosca avevo molto denaro, ma ho lasciato la Russia solamente con i vestiti che avevo addosso. Qui vivo come un miserabile. Non ho denaro per spedire le lettere; lavoro molto lentamente” (11 ottobre 1977, La Biennale di Venezia, Archivio Storico delle Arti Contemporanee, Fondo storico, Arti visive, b. 276). Sitnikov scriveva in risposta a un invito alla Biennale del dissenso culturale, alle cui giornate inaugurali di metà novembre del 1977 l’arista avrebbe poi presenziato. Inoltre, alla mostra collettiva La nuova arte sovietica. Una prospettiva non ufficiale, curata da Enrico Crispolti e Gabriella Moncada nell’ambito della stessa Biennale, l’artista espose una decina di lavori in prestito da collezioni private italiane, per le quali Miele era intervenuto in veste di intermediario. Si tratta principalmente di nudi, realizzati a tecnica mista su carta intelata, presentati in catalogo come “idoli” realizzati con “un accento di chiaro vagheggiamento visionario” attraverso una “decantazione plastica (vagamente neometafisica)” (Crispolti 1977: 53).
Le opere di Sitnikov figuravano nella prima delle sette sezioni della mostra, intitolata Figurazione espressionista e figurazione lirica, che includeva artisti già noti in occidente come Ėrnst Neizvestnyj e Oskar Rabin. Nelle pagine d’arte del “Corriere della sera”, il critico Mario Perazzi, all’interno di una stroncatura senza appelli alla rassegna d’arte sovietica, salvò proprio Sitnikov, definendone l’Autoritratto e corvi sul Cremlino (assente dal catalogo, ma probabilmente aggiunto alla mostra all’ultimo momento) “una delle opere più autenticamente dissenzienti della Mostra” (Perazzi 1977).
Nel 1980 Sitnikov lasciò l’Europa per stabilirsi a New York, dove trascorse gli ultimi anni della sua esistenza, segnati da un peggioramento delle condizioni di salute ed economiche e da un progressivo isolamento. A New York soffriva di solitudine, dovuta alla nostalgia per la Russia, allo scarso successo di critica e di mercato e al numero sempre più ristretto di discepoli. Tra questi, il poeta Konstantin Kuz’minskij, promotore nel 1985 di un festival dedicato a Sitnikov nella galleria Podval, ed editore di Žitie Vasil’ Jakliča Sitnikova, napisannoe i narisovannoe im samim (Vita di Vasil’ Jaklič Sitnikov, scritta e disegnata da lui stesso), una raccolta fotostatica di scritti autobiografici e riproduzioni di opere, redatta tra il 1985 e il 2009. Il volume fornisce una ricca documentazione utile per studiare l’opera di Sitnikov, in considerazione anche del fatto che, a causa delle tormentate vicende biografiche e del materiale facilmente deperibile di molti lavori, una parte consistente di questi risulta oggi dispersa o in collocazione ignota.
Nel 2009, la Galleria privata di San Pietroburgo Naši chudožniki (I nostri artisti) ha organizzato un’imponente retrospettiva dal titolo Vasilij Sitnikov i ego škola (Vasilij Sitnikov e la sua scuola; cf. Vendel’štejn 2009). La mostra ne ha messo in luce il duplice ruolo di artista e maestro, fondatore di una vera e propria scuola, di cui alcuni esponenti ancora in vita hanno contribuito alla riuscita dell’esposizione. La mostra ha raccolto un centinaio di opere provenienti da collezioni pubbliche e private, tra cui numerose esercitazioni e lezioni a quattro mani, dove le correzioni e gli interventi di Sitnikov risultano talmente invasivi da giustificarne, per quanto parzialmente, la paternità. Testimonianze, queste, della missione pedagogica concepita “a tutto tondo” da Sitnikov, non solo nell’educare giovani artisti secondo un metodo libero, ma anche nell’introdurli in un circuito artistico di ampio raggio, preservato, e anzi consolidato, in seguito al crollo dell’Unione Sovietica.
Matteo Bertelé
[31 dicembre 2022]
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Cita come:
Matteo Bertelé, Vasilij Sitnikov. Tra diplomazia e pedagogia, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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