Titolo della rivista:
“Marija” [Maria]
Date: [marzo] 1980–[febbraio] 1982
Luogo di edizione: Leningrado
Redattrici: Julija Voznesenskaja, Tat’jana Goričeva, Anna-Natalija Malachovskaja
Numero totale di fascicoli: 6
Principali collaboratrici: Galina Grigor’eva, Natalija Lazareva, Klavdija Rotmanova, Tat’jana Beljaeva, Alla Sariban, Sof’ja Sokolova e altre
Descrizione:
Visioni contrastanti, opinioni ed esigenze incompatibili tra loro riguardo la questione femminile in URSS, portarono a una divisione all’interno della redazione di “Ženščina i Rossija”: Tat’jana Mamonova, promotrice della realizzazione dell’almanacco, desiderava che quest’ultimo continuasse ad avere una linea editoriale ben precisa, con un’ideologia affine al femminismo occidentale, molto lontana da quella di stampo cristiano-ortodosso a cui ambivano le altre redattrici Goričeva, Voznesenskaja e Malachovskaja. L’idea di Mamonova era di proporre nuove forme di relazione con l’altro che si basassero su filosofie del tutto opposte a quelle sostenute dalle colleghe, le quali, invece, reputavano queste idee non conformi alle aspirazioni di molte donne sovietiche. D’altro canto, secondo Mamonova, la Chiesa era un’istituzione profondamente patriarcale e il sistema sovietico, nonostante le promesse, continuava ad essere “lo stesso vecchio lupo sessista nelle vesti socialiste” (Ruthchild 2017: 103). Da tale rottura nacque un nuovo progetto, il Klub Marija, un club di discussione aperto a tutte quelle donne che avevano il desiderio e la necessità di condividere le proprie idee e sofferenze, alla cui base dovevano esservi un’unione di sorellanza e rapporti alla pari mossi da un Amore autentico (cf. Voznesenskaja 1981: 42): “Per la prima volta vedo messi in pratica i principi democratici dell’arte e questa esperienza – quella della formazione del primo vero collettivo democratico – mi sembra forse la nostra scoperta più importante. E noi abbiamo il dovere di proteggere e rafforzare ciò che ci ha unite e legate: essere democratiche non nelle parole, ma nei fatti, l’amore e il rispetto reciproco, essere pronte a comprendersi nelle situazioni più difficili, il credere ciecamente nell’onestà degli intenti di tutte le nostre amiche, la piena fiducia da un lato, ma anche la necessità di accogliere le questioni e le osservazioni di ognuna, purché pertinenti alla cosa comune” (Voznesenskaja 1981: 18).
A questo club seguì una rivista samizdat omonima, indipendente dall’almanacco e che uscì in parallelo ad esso. La prima riunione si tenne il 1° marzo del 1980 e in quello stesso giorno, durante una perquisizione, fu confiscata la bozza del primo numero della rivista “Marija”, poi riscritta interamente nel maggio dello stesso anno, la quale, nella prima sezione dal titolo Naši vzgljady, idei, pozicii (Le nostre opinioni, idee, punti di vista), conteneva già lo stenogramma di una discussione su femminismo e marxismo, dichiarando apertamente, anche attraverso la scelta del nome stesso Marija – chiaro riferimento alla Vergine – l’orientamento filosofico-religioso e antimarxista del progetto (Voznesenskaja 1981: 43). L’intento della rivista consisteva nello sviluppare un approccio alternativo e unicamente russo al femminismo: il marxismo, basandosi radicalmente sul materialismo e su una trasformazione economica del sistema statale, non considerava l’impatto che esso stesso aveva sulla quotidianità della popolazione e, in particolar modo, della donna, mettendo così in risalto il contrasto tra ideale e reale (cf. Zorya 2020: 152). In virtù della sempre maggiore partecipazione dell’intelligencija ai seminari filosofico-religiosi, della diffusione di materiali proibiti per mezzo dell’Unione delle chiese evangeliche dei cristiani battisti e al conseguente incontro dell’underground culturale con il pensiero religioso, e rifacendosi anche ai principi della rivista “Obščina” (cf. Dolinin-Ivanov 2003: 94; Voznesenskaja 1981: 42), le redattrici di “Marija” si rivolsero alla religione e alla Chiesa per ritrovare quel senso di umanità, spiritualità e speranza perduti.
“L’uomo è a immagine e somiglianza di Dio. Queste stesse parole sembrano sorprenderci. I tiranni del XX secolo, che consideravano le persone come una massa indistinta tanto da fingere di non vederla, ci hanno abituati a una raccapricciante svalutazione della soggettività dell’uomo. Un essere fragile, una creatura passeggera capace solo di trasformarsi in una manciata di cenere davanti ai tuoi occhi: ecco cos’è l’uomo, cos’è ognuno di noi per la coscienza del contemporaneo. Tutti quei grandiosi esperimenti sociali, che hanno infuso fervide speranze nelle generazioni precedenti, ci hanno portati a trarre questa tragica conclusione. In questi tempi disperati, in cui una dopo l’altra si spengono le speranze di poter riedificare una società socialmente giusta, […] a volte sembra che non ci sia più nulla in cui sperare. Ed è proprio nella nostra epoca che rinasce la speranza, che, paradossalmente, come se facessero esplodere gli stereotipi ormai consolidati di una coscienza socialmente chiusa, le speranze si accendono […]” (Malachovskaja 1982: 73-74).
Nonostante nessun membro del movimento di liberazione delle donne sovietiche, ad eccezione di Goričeva, giunse mai ad avere posizioni di fede estrema, si evince la necessità da parte di tutte di un recupero delle differenze tra uomo e donna per poter esaltare le qualità di entrambi: solo la ricerca e la riscoperta del “femmineo” nelle donne – inteso come romanticismo e attrazione – e la “defemminizzazione” dell’uomo, condurranno l’essere umano alla salvezza e alla libertà attraverso una purificazione e una conseguente rinascita spirituale. Ed è così che in uno stato senza Dio, il quale promulga l’uguaglianza tra i sessi dando vita ad esseri ermafroditi, queste donne trovano rifugio nella Chiesa e solo “nel cristianesimo è stata ed è possibile la divinizzazione dell’uomo” (Goričeva 2020: 133). In questo testo dal titolo Radujsja, slez Evinych izbavlenie (Ave, tu che hai redento le lacrime di Eva), già pubblicato all’interno dell’almanacco “Ženščina i Rossija” (1979), Goričeva affermava che: “In una società dove si calpesta e si profana tutto ciò che è sacro, le forze e le capacità dell’uomo vengono mal indirizzate, la stessa natura umana viene stravolta. Il rozzo materialismo dei valori dominanti dà vita a un uomo a una dimensione, senza qualità e senza sesso, ‘l’homo sovieticus’” (ibid.: 136).
Contrariamente all’almanacco, “Marija” era caratterizzata da una struttura interna ben definita: le diverse sezioni, tra cui Naši vzgljady, idei, pozicii (Le nostre opinioni, idee, punti di vista), Ženščina i Cerkov’ (La donna e la Chiesa), Naša sčastlivaja, sčastlivaja, sčastlivaja žizn’ (La nostra vita felice, felice, felice), Ženščina i GULag (La donna e il GULag), Ženščina i sem’ja (La donna e la famiglia), Pis’ma po molitvam bogomateri (Lettere di preghiera alla Madre di Dio), Poėzija i proza (Poesia e prosa), mettono, senza ombra di dubbio, in risalto il carattere eterogeneo della rivista, che vuole innanzitutto presentare, in continuità con l’almanacco, articoli di critica sociale che seguono un chiaro orientamento politico. Da questa organizzazione si evince che, oltre a porre un’attenzione specifica a temi difficili quali la violenza domestica, la violenza psicologica in ambito lavorativo e nell’ambiente stesso della “seconda cultura” e l’aborto clandestino, le autrici decidono di approfondire anche tematiche di carattere morale e religioso, quali la castità e il sacrificio, l’umiliazione, l’umiltà e l’obbedienza. A tal proposito viene detto che: “Spesso l’umiltà ha origine dalla paura. La persona fragile ha paura delle conseguenze delle sue parole, delle sue azioni, teme la resa dei conti. Per mantenere un granello di autostima, lui fa passare per umiltà il suo rifiuto di agire e di manifestare il proprio pensiero, ovvero la sua debolezza. L’obbedienza a Cristo, l’umiltà nei Suoi confronti, non devono tramutarsi in umiltà nei riguardi dell’uomo, l’adorazione del Signore Dio del Cielo non deve assumere la forma dell’adorazione dei sovrani della Terra, dei potenti di questo mondo, sebbene l’umiltà nei loro confronti aiuti a superare la paura. […] Il credente non può e non deve essere un umile-pauroso. L’ortodossia condanna la paura di fronte a Dio, perché, come la paura in generale, prevale sempre sull’amore verso Dio e sul desiderio di avvicinarsi a lui. L’umiltà è un allontanamento dell’uomo da Dio, dal proprio nobile scopo e dalle persone” (Kazanskaja 1982: 18).
La risposta del KGB a questo fenomeno fu immediata. La pubblicazione della rivista ebbe come conseguenze perquisizioni, interrogatori e arresti, cui seguirono le espulsioni dal Paese, alla vigilia delle Olimpiadi del luglio 1980, delle redattrici Goričeva, Malachovskaja e Mamonova. Una volta giunte in Occidente, a Vienna, vennero accolte dalla collega Voznesenskaja, già costretta ad emigrare nel maggio precedente, e da molti giornalisti che sin da subito mostrarono interesse nei confronti delle loro esperienze personali e del loro attivismo. In quello stesso mese uscì il secondo numero della rivista che conteneva una sezione speciale dedicata interamente all’invasione sovietica in Afghanistan, già avviata nel dicembre del 1979: il primo testo dal titolo Klub Marija protiv okkupacii Afganistana (Il Klub Marija contro l’occupazione in Afghanistan) dichiara la presa di posizione antimilitarista unitaria dell’intero movimento di donne con l’intento di denunciare un’operazione militare che era stata propagandata come un “atto di liberazione” del popolo afghano, in particolar modo delle loro donne. Nel testo Bratskaja pomošč’ (Aiuto fraterno), inserito nella pubblicazione e scritto da un uomo afghano, si legge:
“Ho ascoltato tra la folla i discorsi delle donne:
Perché mandano i loro figli a uccidere i nostri ragazzi e le nostre donne?
Possibile non sappiano che i loro figli torneranno da loro soltanto dentro a delle bare?
Poi verseranno lacrime! Perché non hanno pianto quando li hanno mandati qui?
Ad una di quelle donne dissi:
‘È terribile essere madre in Unione Sovietica: non sanno nemmeno dove spediscono i loro figli, e per di più non sapranno né dove verranno sistemate le loro tombe, né in quale terra verranno sepolti'” (Anonimo 1982: 15-16).
Il 1° marzo del 1980, durante la prima seduta del club, venne stilato il primo documento rivolto all’opinione pubblica, Obraščenie k materjam (Appello alle madri), da cui si evince la volontà di mostrare la natura ingannevole di una guerra sferrata a tradimento e con cui si cercò di convincere le madri dei soldati a preferire per i propri figli la prigione alla morte.
L’emigrazione delle principali redattrici non pose fine alla creazione e alla prosecuzione della rivista: il lavoro e la preparazione del quarto e quinto numero, usciti nel 1981, continuarono e le redini furono prese in un primo momento da Klavdija Rotmanova e Tat’jana Beljaeva, ma dopo la loro espulsione da Elena Šanygina, Sof’ja Sokolova e Alla Sariban. Il 24 settembre del 1981, dopo una perquisizione nel suo laboratorio, l’artista Natal’ja Lazareva venne arrestata per aver scritto, l’anno precedente, un appello contro la guerra rivolto a tutte le donne del mondo, che, al contrario di quanto si fosse ritenuto, nessuno, oltre lei, aveva mai visto né letto. Una volta uscita di prigione, Lazareva iniziò la preparazione del sesto numero, ma uno dei tre esemplari di cui era in possesso fu immediatamente confiscato dal KGB. Questa fu la causa che portò nuovamente all’arresto dell’artista e a un’ulteriore condanna a quattro anni di reclusione (cf. Lazareva 1998: 69-70). Sempre più aspre repressioni da parte degli organi di sicurezza seguirono a questi fatti, tanto da mettere finalmente a tacere tutte le donne appartenenti al movimento. Malachovskaja, Goričeva e Voznesenskaja riuscirono a far pubblicare in Tamizdat i primi tre numeri della rivista e si sforzarono molto affinché la condanna della loro collega venisse tramutata in un esilio: sul secondo numero tamizdat di “Marija”, infatti, fu pubblicato un appello rivolto a tutto il mondo – firmato da Voznesenskaja e Grigor’eva – in cui si chiedeva aiuto per la loro amica. La solidarietà internazionale fu rimarchevole, soprattutto da parte delle femministe francesi, che si adoperarono organizzando un Comitato e un fondo economico a sostegno delle femministe di Leningrado. Nel 1981, inoltre, fu fondata in Germania una filiale del club grazie alla Società tedesca per la difesa dei diritti umani, con l’obiettivo di prestare aiuto al movimento delle donne in Russia e promuovere lo scambio di informazioni (cf. Voznesenskaja 1981: 43). Tuttavia, questa mobilitazione non riuscì ad evitare a Lazareva il confino e la rivista, da quel momento in poi, smise di esistere.
Nel 1980 fu pubblicato in lingua francese solo ed esclusivamente il primo numero di “Marija” e nel 1983 uscì in italiano una raccolta di articoli estrapolati dai primi tre numeri dal titolo L’altro femminismo, edito dalla cooperativa editoriale La Casa di Matriona.
L’idea alla base della filosofia portata avanti dalla rivista la si ritrova in uno scritto successivo di Tat’jana Goričeva, in cui afferma che:
“Solo ora la società si è fatta più vicina alla verità cristiana. Anche se, a dire il vero, è apparsa subito una nuova schiavitù: al posto della subordinazione e delle ideologie ‘patriarcali’, sono immediatamente giunte a noi le ideologie femministe. Il femminismo ‘lavora’ solo in superficie: resta una corrente materialista, ‘umana, troppo umana’” (Goričeva 1992: 5).
La specificità del movimento russo, che risiedeva nel suo carattere spirituale, e le idee promosse non trovarono un riscontro concreto nella realtà, al contrario, risultarono di difficile comprensione sia tra gli ambienti dell’underground leningradese, sia in quelli dei movimenti femministi occidentali, principalmente di sinistra, con una connotazione laica e anticlericale.
Giulia Pertosa
[31 dicembre 2022]
Bibliografia
- AA. VV., “Marija” № 1, Leningrad-Frankfurt-na-Majne, samizdat 1981.
- AA. VV., “Marija” № 2, Leningrad-Frankfurt-na-Majne, samizdat 1982.
- AA. VV., “Marija” № 3, Leningrad-Pariž, samizdat 1983.
- AA. VV., Tat’jana Goričeva e il Club “Maria”. L’altro femminismo, a cura di Centro studi “Russia cristiana” , intr. di O. Clément, La casa di Matriona, Milano 1983.
- Anonimo, Bratskaja pomošč’, “Marija”, 2 (1982): 13-19.
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- Dolinin V., Ivanov B. (a cura di), Samizdat (Po materialam konferencii «30 let nezavisimoj pečati. 1950-80 gody». Sankt-Peterburg 25-27 aprelja 1992 g.), Novoe Literaturnoe Obozrenie, Moskva 2003: 3-21, 94-99.
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- Sidorevič A., Social’naja revoljucija ne osvobodit ženščinu, esli ona ne budet revoljuciej duchovnoj, “Ostrova ne Svoboda”, https://spb.iofe.center/node/237?fbclid=IwAR25czfJPMeGiRbT8ulE4qZmaWw2IdGmyqmZyQG15YdpTiOicSRYtZX7NQQ, online (ultimo accesso: 31/12/2022).
- Voznesenskaja Ju., Domašnij konclager, “Marija”, 1 (1981): 13-19.
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- Zorya K., The Maria Underground Zine: Religious Feminism in 1980s Leningrad, in S. Sorgenfrei, D. Thurfjell, Kvinnligt religiöst ledarskap: En vänbok till Gunilla Gunner, Södertörns högskola, Huddinge 2020: 149-160.
Cita come:
Giulia Pertosa, Marija, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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