
Le più note attiviste del femminismo dissidente russo. Da destra: Tat’jana Mamonova, Natalija Malachovskaja, Tat’jana Goričeva, Julija Voznesenskaja. Fonte: “Ms”. Novembre 1980.
Il movimento femminista dissidente russo nasce in risposta alla mancata rappresentanza delle necessità delle donne da parte di uno stato che utilizzava la piena emancipazione femminile come un motivo di vanto in ambito internazionale. Com’è noto, il femminismo russo fa capo a una ricca tradizione di figure, personalità e approcci antecedenti e contemporanei alla Rivoluzione d’ottobre, che seguono un’evoluzione storica differente da quella occidentale (cf. Nechemias, Noonan 2001; Puškareva 2002). Ciò nonostante, sul finire degli anni Settanta, sorge la necessità di identificare alcune istanze femministe con le attività nel samizdat, in particolare con gli almanacchi Marija e Ženščina i Rossija. La definizione ombrello di movimento femminista dissidente, non si esaurisce in questo fenomeno circoscritto, che non registra le profonde divergenze ideologiche e non risolve la problematicità di un’applicazione generica del concetto di femminismo. Anche alla luce dei contenuti controversi proposti soprattutto da Marija non si può parlare di una prospettiva femminista transnazionale per la descrizione dei movimenti in questione (cf. Talaver 2020: 16-17; Talaver 2017: 58). Pertanto, rispetto ai movimenti citati, si registra un uso tutt’altro che coerente dell’etichetta di femminismo, che storicamente non ha goduto di buona fama in Russia, nemmeno in epoca rivoluzionaria. Al termine femminismo, infatti, si associava un movimento borghese e interessato a ottenere diritti sociopolitici, che apparentemente il governo bolscevico era già stato ampliamente in grado di offrire, e il pericolo di una frammentazione politica interna al partito.
Il governo bolscevico, tuttavia, adottò delle misure di straordinaria modernità per i diritti delle donne; a questo proposito, Rochelle Ruthchild menziona come manifestazione femminista del 1917 abbia spinto il governo provvisorio a concedere alle donne il diritto di voto e pari diritti attraverso la costituzione nel 1918 e come abbia concesso alle donne, per la prima volta nella storia mondiale, il diritto all’aborto nel 1920. Il governo si prodigò contro l’analfabetismo delle donne (circa l’80% della popolazione femminile), incoraggiò la presenza delle donne in lavori specializzati e ha sostenuto la partecipazione delle giovani donne al Komsomol, anche se non sempre ottenne gli esiti sperati (cf. Wood 2017: 13-48). La politica statale si concentrava interamente sulla radicale trasformazione sociale del ruolo delle donne nella società, incoraggiandone la partecipazione alla produzione industriale e alla politica, essenziali per la produzione industriale su larga scala e la creazione di una società socialista. Il dibattito sui diritti delle donne trascurava, tuttavia, l’educazione all’affettività e non prevedeva una parità dei sessi costruita sulla valorizzazione della loro differenza.
Ženščina i Rossija nasce come un movimento che comunica con l’Occidente e, in parte, fa propria la terminologia del femminismo occidentale dell’epoca. Il movimento mette in discussione l’impianto fallocentrico della società sovietica andando a sottolineare come la disparità e la conseguente violenza di genere siano un elemento, sebbene taciuto, altamente presente nel contesto sociale a cui si riferiscono. Si orienta inoltre su un piano marxista, andando a legittimare gli sforzi compiuti dal bolscevismo in termini di emancipazione femminile e identificando nell’ascesa di Stalin l’interruzione di questo percorso di emancipazione (cf. Redakcija almanacha 1980: 15).
L’almanacco Ženščina i Rossija circola nel samizdat sin dal 10 dicembre 1979. Alcune rappresentanti del gruppo femminista francese MLF (Mouvement de libération des femmes) visitarono la redazione di Ženščina i Rossija a Leningrado nel gennaio 1980 e nel febbraio dello stesso anno; gl’incontri portarono alla pubblicazione in tamizdat dell’almanacco a Parigi nello stesso anno (cf. Fouque 1979: web). La casa editrice Des femmes Hebdo, inoltre, si schierò a favore di Tat’jana Mamonova, caporedattrice dell’almanacco, creando un appello mondiale per sostenere l’emigrazione delle attiviste russe a rischio e allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violazioni dei diritti umani subite dalle partecipanti al movimento, compresa Mamonova.
Nel commentare la storia editoriale dell’almanacco in Francia, Anna Sidorevič sottolinea il tentativo delle femministe francesi di includere, senza successo, il movimento femminista russo tra i movimenti femministi di seconda ondata occidentali (cf. Sidorevič 2020: 1996). A tal proposito, la studiosa descrive la reazione delle femministe francesi alla pubblicazione di Ženščina i Rossija, tra cui alcune obiezioni al testo religioso di Goričeva Radujsja, Slez Evinych izbavlenie e a quelli di Natalija Malachovskaja e Tat’jana Mamonova (sotto lo pseudonimo di R. Batalova), che raffiguravano la sessualità femminile come peccaminosa e tormentata dalle “malattie” delle mestruazioni e della menopausa.
Ženščina i Rossija fu in parte tradotto e diffuso anche dalle redattrici del giornale femminista italiano “Effe” nel gennaio del 1980, fatto che testimonia la solidarietà transnazionale tra i gruppi femministi dell’epoca. Secondo Rochelle Ruthchild, la caporedattrice dell’almanacco Tat’jana Mamonova conosceva la teoria e la terminologia del femminismo occidentale e la introdusse alle altre partecipanti (cf. Ruthchild 2017: 104). Concetti come patriarcato, fallocrazia e autodeterminazione sono predominanti nell’introduzione dell’almanacco, che fa anche riferimento al problema del sessismo come intrinseco alla cultura e lingua russa. Tali problematiche erano tuttavia considerate superficiali dalla intelligencija di Leningrado, al punto da apostrofare il movimento per i diritti delle donne come futile e inutile. Questa ostilità verso l’attivismo per i diritti delle donne può essere attribuita, oltre alla misoginia, al già menzionato scetticismo verso il concetto di femminismo nella Russia sovietica.
L’almanacco Ženščina i Rossija è stato creato come una raccolta di testi indipendenti (da qui la definizione di almanacco), quali opere di poesia e prosa, una traduzione di Elena Schwarz (Švarc), resoconti dai campi di prigionia femminile e saggi che affrontavano il ruolo del patriarcato e del sessismo nelle condizioni di vita delle donne russe. Particolare attenzione viene dedicata allo stato dei reparti di maternità e delle cliniche per aborto, sovraffollate e di condizioni igieniche precarie. L’almanacco un significativo pluralismo ideologico considerando l’avversione di Tatiana Mamonova verso religione e l’inclusione di un pezzo di Tatiana Goričeva sulla Vergine Maria come personificazione del principio femminile e come modello di riferimento, che sarà fondamentale nell’almanacco Marija. Tat’jana Mamonova nell’almanacco affronta tematiche quali il lesbismo, la sessualità femminile e la masturbazione, generalmente considerati inappropriati, soprattutto quando discussi dal punto di vista femminile.
Marija procede ugualmente da una critica della condizione femminile nella Russia Sovietica, contestandone l’impianto materialista. L’almanacco venne redatto in samizdat nella primavera del 1980 causando l’espulsione forzata delle redattrici, che ne continuarono l’attività in forma di tamizdat mantenendo viva la comunicazione con le attiviste rimaste in patria. Il saggio di Tat’jana Goričeva Ved’my v kosmose (cf. Goričeva 1981: 9-13) è quanto di più vicino al manifesto ideologico del gruppo, nel quale la religione ricopre un ruolo di primo piano. L’emancipazione femminile, in questo senso, può avvenire su un piano ontologico e spirituale tramite la riscoperta di valori religiosi capaci di riconnettere uomini e donne ai due principi originari di maschile e femminile. A questo proposito, Goričeva entra in polemica diretta con Simone de Beauvoir, citandone il famoso assunto “Donna non si nasce, ma lo si diventa” (cf. de Beauvoir 2013: 293) per poi capovolgerne il significato: se infatti de Beauvoir sosteneva che non ci fosse alcun determinismo biologico ad attribuire a un certo sesso quelle caratteristiche determinate dal contesto storico/sociale che oggi descriviamo con il termine genere (cf. Butler 1990), Goričeva sostiene l’opposto, ovvero che caratteristiche del sesso femminile e maschile sono determinate naturalmente.
L’appiattimento di queste differenze previsto dal modello emancipatorio dello stato sovietico ha, dunque, portato a una femminilizzazione del maschile, caratterizzato da una forte passività nella vita politica e famigliare, e da una mascolinizzazione del femminile. La natura totalitaria dello stato sovietico, inoltre, aggiunge un ulteriore ostacolo al raggiungimento dell’autodeterminazione del soggetto. Goričeva descrive il modello di mascolinizzazione del femminile con il termine “femmina sovietica”: una donna severa e arruffata che raggiunge gli apici della carriera ricoprendo ruoli statali che la rendono connivente alla violenza di regime e che trova il suo apice nella prima “strega” che volò nello spazio, Valentina Tereškova (cf. Goričeva 1981: 11). A questa immagine, il gruppo “Marija” oppone quella della Vergine Maria, caratterizzata da gentilezza, pazienza, auto-sacrificio e la capacità di agire per il bene dell’umanità. Nel cristianesimo ortodosso la sofferenza rappresenta il primo passo sulla via della redenzione; le donne, in questo senso, diventano il tramite privilegiato tra Dio e la terra, delle figure martiri che rese capaci di diffondere il messaggio di amore divino, opposto alle forze apocalittiche del regime (cf. Klub Marija 1981: 8). L’idea di femminilità così delineata ha plasmato l’attivismo politico dell’almanacco come antisovietico, non violento e fortemente contrario all’invasione dell’Unione Sovietica in Afghanistan. A tal proposito, le attiviste hanno fortemente contrastato l’esportazione del modello emancipatorio russo, che non avrebbe tenuto conto delle effettive esigenze delle donne afghane e avrebbe compromesso un percorso di autodeterminazione autonomo (cf. Klub Marija 1982: 24). Il gruppo “Marija” ha inoltre sostenuto il sindacato polacco Solidarność e la creazione di un movimento neo-femminista in Polonia (cf. Gvejman 1982: 92). Marija si concentra inoltre sul tema della maternità, descritta come un diritto negato alle donne a causa delle precarie condizioni di alloggio e lavoro in Russia, e intesa come un bisogno (potrebnost’), un’idea coerente con l’impianto essenzialista del gruppo. Questa attenzione alla maternità si associa al dibattito pubblico sul calo delle nascite che attribuiva alla femminilizzazione degli uomini e la mascolinizzazione delle donne, ossia la “mescolanza” dei ruoli di genere, il declino della fertilità nell’Unione Sovietica negli anni ’70 (cf. Goscilo 1991: 20-21; Vassilieva 2003: 80).
Valentina Bagozzi
[30 giugno 2025]
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Cita come:
Valentina Bagozzi, Movimento femminista dissidente, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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