“Una giornata di Ivan Denisovič”. Copertina dell’edizione Einaudi.

Titolo: 
Odin den’ Ivana Denisoviča [Una giornata di Ivan Denisovič]

Autore: Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008)

Anni di redazione: 1959-1962

Anno di prima pubblicazione: Novembre 1962

Rivista: “Novyj Mir”, 11, 1962

Descrizione:
Odin den’ Ivana Denisoviča (Una giornata di Ivan Denisovič) è l’opera degli esordi che segna il successo letterario di Solženicyn. La prima stesura risale al periodo 18 maggio – 30 giugno 1959, a Rjazan’, città in cui, dopo la liberazione dal Gulag e la riabilitazione, egli si era trasferito nel giugno 1957, come insegnante di fisica e astronomia. Prima di quest’opera, dal 1955 al 1958, aveva già messo mano a V kruge pervom (Nel primo cerchio), romanzo ambientato nella šaraška di Marfino, il lager speciale nei pressi di Mosca, in cui trascorse gli anni di reclusione fino al 1950. In quest’epoca nell’autore si era rafforzata l’esigenza di un’ampia testimonianza dell’esperienza concentrazionaria, che avrebbe trovato realizzazione con Arcipelago Gulag. In tal senso, Una giornata di Ivan Denisovič è un primo nucleo di una opera documentale di grande respiro e in divenire. La narrazione è incentrata sulla doviziosa descrizione di una gelida giornata del gennaio 1951, trascorsa in un Gulag siberiano dal recluso Ivan Denisovič Šuchov, un contadino di un piccolo villaggio della Russia centrale che, arruolatosi durante la guerra, era stato condannato dal tribunale militare sovietico per disfattismo e spionaggio, per essersi consegnato prigioniero ai nazisti. L’identificazione tra l’autore e Šuchov è immediata: Solženicyn, accusato a suo tempo per delle lettere intercettate dalla censura in cui criticava Stalin, scontò una simile pena dal 1945 al 1956, di cui un terzo, dall’agosto del 1950 al febbraio 1953, nel Gulag di Ekibastuz in Kazakistan. Dal racconto emerge come la durezza estrema del lager arrivi ad annullare anche il rancore verso il potere sovietico; la lotta per non soccombere al freddo, alla fame, alla fatica, non contemplano la prospettiva della rivalsa e neanche della liberazione. Per Šuchov l’unica forma di resistenza all’ingiustizia, per un’assurda condanna, consiste nel superamento della quotidiana prova del sopravvivere. Il tentativo di oggettivare la realtà concentrazionaria, di rendere razionali il pensiero e l’azione del protagonista, nonostante la disumanità in cui questi opera, colpiscono i primi lettori del testo, tra cui Aleksandr Tvardovskij, direttore della rivista “Novyj Mir”.
Dopo il duro attacco di Nikita Chruščev contro Stalin durante il XXII Congresso del partito che si tenne tra il 17 e il 31 ottobre 1961, Solženicyn aveva fatto pervenire a Mosca il manoscritto. Il 10 novembre 1961, Raisa Orlova, moglie di Lev Kopelev, compagno di cella di Solženicyn durante la detenzione a Marfino, recapitò il manoscritto anonimo ad Anna Berzer, della redazione di “Novyj Mir”. Per non lasciare orfana l’opera, Kopelev propose come pseudonimo A. Rjazanskij. A dicembre, Tvardovskij si trovò a valutare Sof’ja Petrovna di Lidija Čukovskaja e il racconto dell’uomo di Rjazan’. Rimase colpito da quest’ultimo. Tramite Kopelev, Solženicyn fu invitato a recarsi a Mosca il 12 dicembre, per siglare l’accordo della pubblicazione. L’opera subì diversi alleggerimenti rispetto alla prima stesura. Il titolo stesso Sč-854Odin den’ odnogo zeka (Sč-854. La giornata di un detenuto) fu cambiato per volontà di Tvardovskijcon il titolo meno connotato di Una giornata di Ivan Denisovič. Il lavoro di redazione occupò l’inizio del 1962. Il linguaggio del racconto non era normativo, evadeva dal canone realista socialista e attingeva, piuttosto, al gergo del Gulag con le sue sgrammaticature e asprezze lessicali da un lato, dall’altro sorprendeva la lingua di Šuchov, che riportava in vita (attraverso la letteratura), una parlata regionale e tipica dei contadini che abitavano province dello stato sovietico, prima di venire deportati e quindi liquidati come classe, parlate che per queste congiunture storiche erano di fatto sparite.
In virtù dello stile e del peso specifico, il testo fu rinominato povest’, romanzo breve. Tvardovskij chiese delle recensioni a K. Čukovskij, K. Simonov, S. Maršak, K. Paustovskij, i quali si espressero positivamente. Il redattore di “Novyj Mir” scrisse anche una breve introduzione all’opera, allegandola a una lettera a Chruščev. Il 6 agosto del 1962, il dossier fu recapitato a Vladimir Lebedev, consigliere del Segretario generale. Chruščev e Anastas Mikojan diedero parere positivo. Il 12 ottobre 1962 il Comitato centrale del partito approvò la pubblicazione. Lebedev, che aveva un certo ascendente su Chruščev, giocò un ruolo determinante nella decisione e riconsegnò il testo con alcune annotazioni, che furono poi accolte dall’autore (cf. Solženicyn 2006: 395-398).
Il 17 novembre l’opera uscì sul n. 11 di “Novyj Mir” (8-74) e ottenne un immediato successo tra i lettori sovietici. Nel corso del 1963 il testo fu ristampato in volume da Sovetskij pisatel’. Grande fu il clamore in Occidente e le traduzioni si moltiplicarono rapidamente. L. Cohen propose di girare un film negli USA ispirato a Una giornata di Ivan Denisovič. Il ministro della cultura, Ekaterina Furceva, si oppose a tale proposta.
In Italia si diffuse rapidamente la notizia della pubblicazione: già il 21 novembre 1962, il “Corriere della sera”, titolava: Prima novella sovietica sull’incubo della dittatura. Negli stessi giorni, Enzo Bettiza, corrispondente da Mosca per “La Stampa”consigliava a Mondadori di considerare con urgenza il testo e il 27 novembre pubblicava un articolo sulla “prima requisitoria sovietica sui campi di concentramento siberiani”, con la novità rappresentata dal personaggio immaginario “Ivan Denisovič, protagonista del racconto di Solženizin; ma il libro (autorizzato personalmente da Chruščëv) è un documento: l’autore visse in quei ‘Lager’. – L’orrore non nasce da una crudeltà violenta, ma dal disperato logorio degli uomini condannati senza perché” (Bettiza 1962: 3). Nella stessa data, Raffaello Uboldi, sulle pagine de “Il Giorno”, di cui era corrispondente da Mosca, pubblicò alcuni brani del racconto. Nel frattempo, sul numero di dicembre de “L’Europa letteraria”, usciva l’articolo di Tvardovskij sul “caso Solženizin” (cf. Vigorelli, Tvardovskij 1962). Forte fu l’interessamento de “L’Espresso” dove, per volontà di Eugenio Scalfari, dal 2 dicembre al 27 gennaio 1963 l’opera tradotta fu pubblicata a puntate, corredata dall’introduzione di Enzo Bettiza (alias Sarmatius). Einaudi e Garzanti si divisero la posta della prima traduzione. A metà gennaio del 1963, R. Uboldi, coadiuvato da un anonimo traduttore moscovita, consegnò il lavoro a Einaudi, mentre Giorgio Kraiski lo tradusse per Garzanti, edizione in cui apparve anche la prefazione di Tvardovskij. Diversi furono gli articoli dedicati alla novità editoriale: il 23 gennaio 1963, Vittorio Strada intuiva la portata storica dell’opera, e sulle colonne de “L’Unità” delineava “una stagione più matura nella cultura sovietica […] Il libro del Solženicyn è poi un evento rivoluzionario nella formazione della coscienza civile e morale del lettore sovietico, una pietra miliare della letteratura del ‘disgelo’ in un prima e in un dopo l’Ivan Denisovič” (Strada 1963a: 6). In un successivo articolo, su “Rinascita”, considerava Una giornata di Ivan Denisovič un atto letterario eroico, nonostante lo sguardo limitato dell’eroe, l’opera poteva considerarsi socialista e necessaria alla denuncia di Stalin (cf. Strada 1963b: 24-25). Nel corso del 1963 si animò il dibattito tra critici di diverso orientamento, quali P. Alatri, E. Forcella e G. Herling, anch’egli testimone dal Gulag (cf. Herling 1963: 55-58). Dalle colonne del “Corriere della sera”si definiva il racconto come “l’esempio di un non conformismo davvero singolare nel mondo comunista” (Gramigna 1963: 7).
Nell’agosto del 1963 in un convegno sul romanzo, organizzato a Leningrado dalla Comunità degli scrittori europei, di cui si trova ampio riscontro su “L’Europa letteraria”, (nn. 22-23-24), fece notizia l’assenza di Solženicyn, che l’inviato Enzo Biagi presagiva con queste parole: “fa il professore in una lontana provincia, sembra sia gravemente malato […] Una giornata di Ivan Denisovič narra le sue esperienze di prigioniero. Pochissimi lo conoscono perché vive ritirato” (cf. Biagi 1963: 3). In realtà, la posizione dell’autore era ormai divenuta scomoda in URSS, pertanto suscitò scalpore l’intervento leningradese di Tvardovskij in sua difesa. Il testo del redattore di “Novyj Mir” fu pubblicato in italiano (cf. Tvardovskij 1963: 153-156).
Nel corso del 1963, in Italia si distinsero anche le posizioni di aperta critica da parte di Giovanni Giudici sul n. 5 di “Questo e altro” e di Franco Fortini Del disprezzo per Solzenicyn, sul n. 12 di “Quaderni Piacentini” (cf. Sabbatini 2018: 70-71). È il riflesso del caso che stava montando in URSS con difensori e detrattori dello scrittore (cf. Strada 1964). Agli inizi del 1964 le disquisizioni sulla letteratura concentrazionaria erano sempre in voga e l’attenzione intorno al caso Solženicyn registrava ormai posizioni polarizzate (cf. Bettiza 1964: 11). Lo si evince dalle colonne de “L’Unità”, dove l’inviato da Mosca Augusto Pancaldi torna a spiegare l’estrema attualità dell’autore e dei suoi temi: “Ivan Denisovič è diventato la pietra di paragone sulla quale ognuno misura le proprie aspirazioni per ciò che è e dovrà diventare la società sovietica”. Dal n. 26 de “L’Europa letteraria”, Giancarlo Vigorelli e Vittorio Strada auspicavano l’attribuzione del Premio Lenin al fine di consacrare Solženicyn. Oltre agli interventi di Strada e Tvardovskij, neanche la recensione di Jurij Lotman, inviata al comitato del premio Lenin, sortì l’effetto sperato. A Solženicyn non fu attribuito il Premio Lenin, né, come sperava Vigorelli, il Premio Internazionale di Letteratura del 1964, che fu conferito a Nathalie Sarraute (cf. Sabbatini 2018: 71-72). Tale misconoscimento del testimone del Gulag era un segnale politico inequivocabile ed ebbe nuova grande eco nella stampa occidentale (cf. Roberti 1964: 3).
Questo tipo di attenzione mediatica, contornata da aspre polemiche, avrebbe trovato ulteriore riscontro con la attribuzione del Nobel nel 1970 (cf. Silone 1970). Di là dal successo iniziale, in URSS ‘Ivan Denisovič’ d’ora in poi seguirà il destino del suo autore, emarginato e collocato progressivamente tra le file del dissenso: “A Solzenicyn è toccata la mala sorte d’essere il primo rapsodo dell’agonia di milioni di condannati innocenti nei campi della Siberia. Di questo gli danno ora colpa burocrati ed altre bertucce, che sono il travestimento degli aguzzini brutali da lui raffigurati nelle aspre ‘stazioni’ di Un giorno di Ivan Denìsovič” (Ripellino 1967: 11).
Mentre versioni non censurate dell’opera sarebbero circolate in URSS grazie al samizdat, la traduzione italiana di Una giornata di Ivan Denisovič si è nel tempo sempre basata sul testo censurato del 1962. Solo nel 2017, per Einaudi, è uscita la versione integrale, in una nuova traduzione, dopo che nel 2006 il testo è apparso corretto e restaurato dall’autore nella sua versione originale (cf. Solženicyn 2017).

Marco Sabbatini
[30 giugno 2021]

Bibliografia

  • Bettiza E., I giorni tutti uguali di agonia e umiliazione nella ‘casa dei morti’ per i dannati di Stalin, “La Stampa”, 27/11/1962: 3.
  • Bettiza E., Ex prigioniero narra sulle “Izvestija” le atrocità dei ‘Lager’ staliniani, “La Stampa”, 15/01/1964: 3.
  • Biagi E., Scrittori deportati da Stalin e ungheresi ribelli al convegno di Leningrado sulla libertà dell’arte “La Stampa”, 06/08/1963: 3.
  • Gramigna G., Altre voci del ‘disgelo’, “Corriere della sera”, 09/02/1963: 7.
  • Herling G., Jegor e Ivan Denisovič, “Tempo presente”, gennaio 1963: 55-58.
  • Pancaldi A., Solženicyn sotto il fuoco della giuria, “L’Unità”, 05/04/1964: 8.
  • Roberti V., Premio Lenin per le lettere a un burocrate della narrativa, “Corriere della sera”,  22/04/1964: 3.
  • Ripellino A.M., I topi del regime, “L’Espresso”, 18/06/1967: 11.
  • Sabbatini M., Lagernaja proza Solženicyna v zerkale ital’janskoj kritiki 1960-ch – načala 1970-ch godov, “Tekst i tradicija”, 6 (2018): 62-75.
  • Silone I., Perché Solgenitsin. Un premio Nobel fra politica e letteratura, “Corriere della sera”, 11/10/1970: 13
  • Solženicyn A., Rasskazy i krochotki, Id., Sobranie sočinenij v 30 tt., Tom 1, Vremja, Moskva 2006.
  • Solženicyn A., Una giornata di Ivan Denisovič, a cura di O. Discacciati, Einaudi, Torino 2017.
  • Strada V., Con ‘Ivan Denisovič’ si va oltre il disgelo, “L’Unità”, 23/01/1963a: 6.
  • Strada V., I vinti sono i vincitori nel libro di Solzenitsyn, “Rinascita”, 06/07/1963b: 24-25.
  • Strada V., In difesa di Solzenitsyn, “L’Europa letteraria”, 26 (1964): 5-13
  • Tvardovskij A., Il convincimento dell’artista e l’esempio di Solzenitsyn, “L’Europa letteraria”, 22-23-24 (1963): 153-156.
  • Vigorelli G., Tvardovskij A., Il caso Solženicyn, “L’Europa letteraria”, 18 (1962): 113-115.

Versione aggiornata di: Sabbatini M., Odin den’ Ivana Denisoviča (Una giornata di Ivan Denisovič), in C. Pieralli, T. Spignoli, F. Iocca, G. Larocca, G. Lo Monaco (a cura di), Alle due sponde della cortina di ferro. Le culture del dissenso e la definizione dell’identità europea nel secondo Novecento tra Italia, Francia e URSS (1956-1991), goWare, Firenze 2019: 432-437.

Cita come:
Marco Sabbatini, Una giornata di Ivan Denisovič (A. Solženicyn), in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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