Andrej Alekseevič Amal’rik, di professione storico, critico d’arte, pubblicista e drammaturgo, fu una tra le più importanti figure del dissenso in Unione Sovietica (cf. Clementi 2007:129). Prese parte al cosiddetto movimento democratico russo (demokratičeskoe dviženie) e lottò per la difesa della libertà intellettuale e dei diritti umani in URSS (cf. Keep 1971: 335).
Andrej Amal’rik nacque nel 1938 a Mosca nella famiglia del noto storico e archeologo Aleksej Sergeevič Amal’rik e di sua moglie Zoja Grigor’evna (cf. Polit.ru). Nelle scelte di vita del giovane Andrej Amal’rik svolse un ruolo determinante l’esperienza esistenziale del padre, al quale fu impedito di frequentare l’Accademia e proseguire i suoi studi storici a causa di un ormai compromesso passato politico (cf. Keep 1971: 336). Andrej Amal’rik, invece, frequentò la Facoltà di Storia dell’Università di Mosca dal 1959 al 1963 (cf. Clementi 2007: 129), anno in cui venne espulso a causa di una tesina in cui difendeva la cosiddetta “teoria normanna” (normanskaja teorija) sulla nascita dello stato russo, che era invece respinta dalle autorità scientifiche sovietiche (cf. Zubarev-Kuzovkin). Tuttavia, il KGB sostenne che Amal’rik venne espulso dall’università a causa dei risultati insoddisfacenti conseguiti – dovuti alle numerose assenze e allo scarso impegno dimostrato negli studi – e per aver venduto ad alcuni stranieri diversi quadri appartenenti al padre e diversi altri realizzati da alcuni suoi amici pittori non conformisti (cf. Clementi 2007: 150).
Infatti, oltre alla sua produzione letteraria, drammaturgica e pubblicistica, il lavoro di storico e l’impegno nella difesa dei diritti umani, Andrej Amal’rik ebbe fama di collezionista di opere di artisti d’avanguardia (cf. Tolstoj-Gavrilov 2011), il che gli permise di avere i primi contatti con i diplomatici e i giornalisti stranieri (cf. Zubarev-Kuzovkin). La sua produzione pubblicistica e letteraria circolò in samizdat a partire dal 1953 (cf. Polit.ru). Il 14 maggio 1965 venne arrestato con l’accusa di condurre uno stile di vita “antisociale” e fu condannato a due anni e mezzo di confino a Tomsk, in Siberia, ma nel 1966 la Corte suprema dell’RSFSR riesaminò il suo caso e venne rilasciato (cf. ibid.). Di tale esperienza Amal’rik scrisse le sue memorie nell’opera Neželannoe putešestvie v Sibir’ (Viaggio involontario in Siberia, 1970) (cf. Clementi 2007: 129). Qui l’autore si lasciava andare ad una critica al sistema giudiziario e penitenziario sovietico, osservando che le inefficienze strutturali sfociavano inevitabilmente nel fallimento della giustizia e dell’auspicata efficacia del modello “educativo” penitenziario, generando nella popolazione paura e un diffuso senso di sfiducia nelle istituzioni (cf. Keep 1971: 337). Il volume circolò in URSS in samizdat per poi essere pubblicato all’estero.
In seguito all’annullamento del provvedimento penale, Amal’rik fece ritorno a Mosca dove fu assunto in qualità di critico teatrale e d’arte dall’agenzia di stampa Novosti (cf. Clementi, 2007: 129). Nel periodo che intercorse tra il 1966 e il 1969, Amal’rik divenne una delle personalità di spicco del dissenso poiché, grazie alla sua conoscenza della lingua inglese e al suo carisma, riuscì ad intrattenere numerosi contatti con i corrispondenti esteri di stanza a Mosca, definendosi egli stesso come una sorta di “ufficiale di collegamento” tra i circoli dei dissidenti e i giornalisti stranieri (cf. Zubarev-Kuzovkin). Dai suoi rapporti con questi ultimi nacque una profonda riflessione sulla condizione professionalmente limitante che i giornalisti sperimentavano in URSS, fu così che nel 1970 scrisse un articolo dal titolo Inostrannye korrespondenty v Moskve (Corrispondenti stranieri a Mosca), una indagine sulla condizione giuridica dei rappresentanti dei media stranieri in Unione Sovietica in cui venivano illustrate le ragioni che li ostacolavano nel normale svolgimento della loro professione (cf. Zubarev-Kuzovkin). L’articolo, così come numerosi suoi scritti, circolò in samizdat, tuttavia bisogna notare che la sua attività in tal senso non si limitò alla diffusione nel circuito clandestino sovietico e oltrecortina soltanto delle proprie opere, bensì anche di quelle di altri autori. Ad Amal’rik si deve, infatti, la divulgazione di numerosi dattiloscritti, tra cui Vsë tečët (Tutto scorre, 1970) di V. Grossman, Moi pokazania (La mia testimonianza, 1969) di A. Marčenko, molti versi di I. Brodskij (cf. Clementi, 2007: 129) e, non ultimo, il volume a firma di A. Sacharov Razmyšlenija o progresse, mirnom sosuščestvovanii i intellectual’noj svobode (Riflessioni sul progresso, la convivenza pacifica e la libertà intellettuale, 1969).
Assieme a Pavel Litvinov, Amal’rik collaborò alla realizzazione del libro bianco Process četyrëch (Il processo dei quattro, 1968) dedicato al processo svoltosi quello stesso anno a carico degli imputati A. Ginzburg, Ju. Galanskov, V. Laškova e A. Dobrovol’skij, accusati di antisovietismo per la produzione e diffusione di alcune opere sia letterarie che pubblicistiche non autorizzate, tra cui il Libro bianco sul caso Sinjavskij-Daniel’ (cf. Polit.ru). Dopo l’arresto di Litvinov, Amal’rik portò a conclusione questo volume da solo, consegnandolo nell’ottobre dello stesso anno ai corrispondenti stranieri. Alla fine del 1968, a causa del suo attivismo, Amal’rik venne licenziato dall’agenzia di stampa Novosti e trovò lavoro come postino (cf. Zubarev-Kuzovkin).
Della produzione saggistica di Amal’rik si ricorda un importante scritto del 1969 Prosuščestvujet li Sovetskij Sojuz do 1984 goda? (Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?) in cui l’autore profetizzava la dissoluzione inevitabile dell’URSS e delineava a tinte fosche il prossimo futuro post-sovietico sulla spinta di un pessimismo che non gli faceva riporre troppe speranze nella possibilità di una svolta democratica per il paese (cf. ibid.; Clementi 2007: 130). Il volume fu pubblicato in russo nello stesso anno in tamizdat dalla casa editrice olandese Alexander Herzen Foundation e in seguito tradotto in numerose lingue, tra cui l’italiano (cf. Amal’rik 1970a), procurando al suo autore grande fama internazionale e numerose critiche in patria, non soltanto sulla stampa sovietica ufficiale, ma anche nel circuito samizdat (cf. Zubarev-Kuzovkin). Dopo la pubblicazione di questo saggio all’estero, la diffusione clandestina di numerosi suoi scritti in URSS e aver rilasciato alcune interviste ai giornalisti stranieri, l’appartamento di Amal’rik venne perquisito due volte e divenne evidente che la polizia stesse preparando un nuovo “caso” per lui (cf. Keep 1971: 339). Il 21 maggio 1970 fu quindi arrestato per la seconda volta con l’accusa di aver diffuso informazioni false e calunniose che diffamavano lo stato sovietico, conformemente al comma 1 dell’articolo 190 del Codice penale sovietico entrato in vigore nel 1966 (cf. Zubarev-Kuzovkin). Per evitare che il processo si svolgesse a Mosca sotto gli occhi dei corrispondenti stranieri e degli attivisti sovietici, pochi giorni dopo il suo arresto Amal’rik venne trasferito a Sverdlosk, l’attuale Ekaterinburg, dove ebbe luogo il processo a suo carico (cf. Clementi 2007: 134). Ciononostante, queste precauzioni non placarono le proteste e gli appelli per la sua scarcerazione: all’indomani del suo arresto A. Esenin-Vol’pin, V. Bukovskij, Ju. Višnevskaja, P. Jakir ed altri attivisti sovietici per i diritti umani si appellarono all’ONU per la sua liberazione e 64 storici francesi inviarono una lettera all’Accademia delle Scienze dell’URSS esprimendo preoccupazione per l’arresto del loro collega (cf. ibid.). Il processo ebbe luogo l’11 novembre 1970, ma Amal’rik si rifiutò di prendervi parte e fece consegnare al giudice una nota scritta in cui dichiarava di non considerare diffamatorio il contenuto dei propri scritti che, comunque, non potevano “in nessun caso essere oggetto di un procedimento penale” (ibid.: 135). In quell’occasione non scordò di ricordare alla corte che, in ragione dell’art. 125 della Costituzione Sovietica e della Dichiarazione universale dei diritti umani che prevedevano entrambe la libertà di espressione, ogni processo di simile tenore era da considerarsi esso stesso un crimine contro i diritti umani e la legalità sovietica. Nell’ultima udienza pronunciò la propria arringa difensiva, paragonando il procedimento a suo carico ai processi alle streghe, precisando però che, se la lotta all’eresia poteva essere spiegata dal fanatismo religioso, nel suo caso (e in quello di molti altri dissidenti sovietici) la ragione scatenante delle persecuzioni era da ricercarsi nella paura del governo al cospetto di quanti avevano delle idee contrarie al pensiero dominante e all’ideologia di stato (cf. ibid.). Ciononostante, in quell’occasione Amal’rik rivendicò il suo pensiero, ribadendo che il processo di emancipazione delle idee ormai in atto in URSS fosse irreversibile e avrebbe determinato inevitabilmente la fine del regime (cf. ibid.): “Le opinioni che ho espresso non diventeranno meno vere se sarò imprigionato a causa loro per diversi anni. Al contrario, ciò può soltanto conferire più forza alle mie convinzioni […] Né la “caccia alle streghe” condotta dal regime, né il suo singolo esempio – questo processo – suscitano in me il minimo rispetto e nemmeno paura. Capisco, tuttavia, che simili tribunali sono allestiti per impaurirne molti, e molti saranno spaventati, eppure io penso che il processo di emancipazione ideologica oramai avviato sia irreversibile” (Amal’rik 1970b).
Condannato a tre anni di lavori forzati a regime speciale, Amal’rik scontò la sua pena nelle regioni di Novosibirsk e Magadan, al termine della quale, il 21 maggio 1973, fu intentata una nuova contro di lui ai sensi dello stesso articolo. Condannato nuovamente ad ulteriori tre anni di reclusione a regime duro, grazie alle proteste sia nazionali che internazionali e allo sciopero della fame intrapreso dallo stesso Amal’rik per ben 117 giorni, la pena venne commutata a tre anni di confino a Magadan (cf. Zubarev-Kuzovkin). Nel 1974 gli venne assegnato il Freedom Prize dall’organizzazione Freedom House e l’anno successivo tornò ancora una volta a Mosca (cf. ibid.; Clementi 2007: 136).
Nel luglio 1976 emigrò assieme alla moglie nei Paesi Bassi e, quello stesso anno, ricevette il premio da parte della Lega internazionale per la difesa dei diritti umani (cf. ibid.). Negli anni dell’emigrazione Amal’rik non abbandonò la sua attività di pubblicista, collaborando con diverse riviste e giornali dell’emigrazione russa – tra cui i parigini “Kontinent” e “Sintaksis” – e continuando a scrivere saggi, tra cui si ricorda Zapiski dissidenta (Appunti di un dissidente) (cf. ibid.). Nonostante l’esilio, Amalrik continuò pure la sua lotta per la difesa dei diritti umani in URSS, fino alla fine dei suoi giorni: nel 1980, quando rimase ucciso in un incidente stradale, si trovava infatti in viaggio con la moglie – Gjuzel’ Makudinova – e i dissidenti e attivisti per i diritti umani V. Borisov e V. Fajnberg, in compagnia dei quali si dirigeva a Madrid per prendere parte ad una Conferenza indetta con lo scopo di rivedere gli Accordi di Helsinki (1975). La possibilità della conformità dell’Unione Sovietica alle direttive in materia di diritti umani previste dagli Accordi era tutt’altro che certa, e Amalrik avrebbe fatto sentire la sua voce (cf. Austin 1982). Fu sepolto a Parigi, nel cimitero di Saint-Geneviève-des-Bois (cf. Zubarev-Kuzovnik).
Martina Benedetti
[30 giugno 2021]
Lavoro tratto dal seminario “Movimento dei diritti civili in URSS” tenuto da Ilaria Sicari (Corso di Letteratura Russa, CdS magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2019/2020).
Bibliografia
- Amal’rik A., Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?, Coines Edizioni, Roma 1970a, http://www.maldura.unipd.it/samizdat/italia/pdf/amalrik1.pdf, online (ultimo accesso: 30/06/2021).
- Amal’rik A., Poslednee slovo A. Amal’rika, “Chronika tekuščich sobytij”, 17 (1970b), http://hts.memo.ru/, online (ultimo accesso: 30/06/2021).
- Artemova, A., Rar L., Slavinskij M., Kaznimye sumasšestviem, Posev-Verlag, Frankfurt 1971.
- Austin A., The Life of a Zek, “The New York Times”, 11/07/1982, https://www.nytimes.com/1982/07/11/books/the-life-of-a-zek.html, online (ultimo accesso: 30/06/2021).
- Clementi M., Storia del dissenso sovietico (1953-1991), Odradek, Roma 2007.
- Keep J., Andrei Amal’rik and ‘1984’, “Russian Review”, 30.4 (1971): 335-345.
- Polit.ru, Andrej Amal’rik, “Polit.ru”, https://polit.ru/news/2020/05/12/amalrik/, online (ultimo accesso: 30/06/2021).
- Tolstoj I., Gavrilov A., Andrej Amal’rik, “Alfavit inakomyslija”, 23/02/2011, https://www.svoboda.org/a/2318407.html, online (ultimo accesso: 30/06/2021).
- Zubarev D., Kuzovkin G., Amal’rik Andrej Alekseevič, “Chronos”, http://www.hrono.ru/biograf/bio_a/amalrik.html, online (ultimo accesso: 30/06/2021).
Cita come:
Martina Benedetti, Andrej Amal’rik, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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