Rostov sul Don, 1932–Berbenno in Valle Imagna, 2017

Ju. Mal’cev, 1987. Fonte: Radio svoboda, Courtesy Photo.

“E va bene, mettetemi dentro, ma io devo dire quel che penso e devo stare con la schiena dritta per rispettare me stesso” (Mal’cev-Tolstoj 2010).

Jurij Mal’cev nacque nel 1932 a Rostov sul Don. Nel 1955 si laureò in filologia all’università statale di Leningrado, con una specializzazione in italianistica. Tra il 1955 e il 1965 tradusse in russo numerosi autori italiani, tra cui A. Moravia, E. De Filippo e C. Zavattini (cf. Larocca 2019) e pubblicò sulle riviste sovietiche diversi articoli critici sulla letteratura, il teatro e il cinema italiano (cf. Kuzovkin-Makarov 2009a).  A partire dal 1956 insegnò lingua italiana al dipartimento di storia dell’Università di Mosca (MGU), lavorando anche come traduttore e interprete per varie delegazioni di italiani in vista in Unione Sovietica, fino al 1964, anno in cui, in seguito all’istanza inviata al Soviet Supremo dell’URSS con la quale rinunciava alla cittadinanza sovietica a causa del suo rifiuto dell’ideologia ufficiale, fu licenziato dall’Università e sollevato dai suoi incarichi. Da quel momento, anche la sua carriera di critico letterario e traduttore fu stroncata, poiché le redazioni delle riviste ufficiali smisero di pubblicare i suoi articoli e le sue traduzioni (cf. ibid). Tra il 1966 e il 1967 inviò al Consiglio Supremo diverse richieste di espatrio, che gli furono negate.
Nel 1968 sottoscrisse un appello in difesa degli scrittori A. Ginzburg e Ju. Galanskov, con il quale si denunciavano le violazioni dei diritti umani perpetrate in Unione Sovietica (cf. Graziosi 2008: 345) e, poco dopo, si appellò all’allora Segretario generale dell’ONU U Thant con una richiesta di aiuto per il proprio espatrio, in cui ribadiva le ragioni che, quattro anni prima, lo avevano spinto ad inoltrare al Soviet Supremo la sua richiesta di rinuncia della cittadinanza sovietica: “Il 15 dicembre 1964 annunciai al Soviet Supremo dell’URSS la mia rinuncia alla cittadinanza sovietica e la mia intenzione di emigrare dall’Unione Sovietica. Voglio lasciare questo paese perché, essendo uno scrittore, sono privato dell’opportunità di svolgere qui il mio lavoro. Non accetto l’ideologia ufficiale sovietica, non credo nel comunismo […] e, di conseguenza, in un paese in cui è stato proclamato il principio obbligatorio della fedeltà al partito comunista in ambito artistico, sono condannato all’annichilimento spirituale” (Mal’cev 1974: 30).
A partire dal 1968 firmò diversi appelli di protesta, tra cui quello contro l’arresto dei partecipanti alla cosiddetta “manifestazione dei sette” (1968) e, l’anno successivo, quello contro l’arresto di Ivan Jakimovič (cf. Kuzovkin-Makarov 2009a). Nel 1969 fu tra i membri fondatori del Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti dell’uomo in URSS (Iniciativnaja gruppa po zaščite prav čeloveka v SSSR) e, come tale, firmò numerosi appelli diffusi dal gruppo tra il 1969 e il 1970, tra cui una lettera indirizzata all’Onu il 20 maggio 1969 (Pis’mo “V komitet prav čeloveka Ob’’edinënnych Nacij” o političeskich presledovanijach v SSSR), in cui si leggeva: “Facciamo appello all’ONU perché non abbiamo ricevuto alcuna risposta alle nostre proteste e denunce che sono state inviate nel corso degli anni alle più alte autorità statali e giudiziarie dell’Unione Sovietica. La speranza che la nostra voce possa essere ascoltata, che le autorità fermino l’illegalità che abbiamo costantemente sottolineato, ebbene, questa speranza è esaurita” (Kuzovkin-Makarov, 2009b).
A causa del suo attivismo per i diritti umani, il 17 ottobre dello stesso anno, senza alcuna valida ragione medica, fu internato per un mese in un ospedale psichiatrico (cf. Kuzovkin-Makarov 2009c). Sul suo internamento scrisse delle memorie intitolate Reportage da una casa di matti (Reportaž iz sumasšedšego doma, 1969) che, dopo la loro circolazione in samizdat, furono pubblicate per la prima volta in Occidente nel 1974, dalla casa editrice dell’emigrazione russa Izdanie Novogo Žurnala di New York. In quest’opera memorialistica, Mal’cev chiariva che il suo internamento era dovuto soltanto a ragioni politiche, costituendo uno dei numerosi casi di repressione politica ai danni degli attivisti del Gruppo di Iniziativa di cui egli era tra i membri fondatori: “Adesso mi era tutto chiaro. Solo poche settimane fa sono stato convocato per un interrogatorio dal KGB, dove mi sono rifiutato di testimoniare sul Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti umani in URSS, di cui ero membro, e le repressioni contro il quale sono iniziate subito dopo la pubblicazione in Occidente dell’appello all’ONU. Ho presentato la mia richiesta di lasciare l’URSS nel 1964: per molto tempo le autorità hanno cercato di ignorarla semplicemente, ma quando ho iniziato a rivendicare il mio diritto di andarmene con più veemenza e insistentemente, allora hanno iniziato a perseguitarmi come un parassita […] Ma quando ho trovato lavoro come postino, questa opportunità di portarmi in tribunale come parassita è scomparsa. […] Il pretesto diretto di questa convocazione dallo psichiatra non era, ovviamente, la mia vecchia richiesta [di espatrio], ma il nostro recente appello all’ONU” (Mal’cev 1974: 33).
Inoltre, testimoniava le condizioni disumane degli ospedali psichiatrici sovietici, in particolare di quelli penitenziari a statuto speciale (specpsichbol’nicy), destinati all’internamento dei dissidenti politici: “Non avevo altra scelta che obbedire. Mi spogliai, consegnai l’orologio, la penna stilografica, i soldi, il passaporto. Indossai il pigiama dell’ospedale, confortandomi con il pensiero che ero comunque finito a Kaščenko, e non nell’ospedale speciale dove di solito sistemano i detenuti politici e dei cui orrori avevo sentito parlare” (ibid.: 37).
Convocato dalle autorità con il pretesto che lo avrebbero inviato all’estero in qualità di interprete, Mal’cev fu quindi trasferito all’ospedale Kaščenko di Mosca per una visita psichiatrica, durante la quale egli ebbe il coraggio di denunciare ai medici ed al personale sanitario le vere ragioni di quella messinscena:

– Bene, e adesso ci dica cosa ne pensa, perché è arrivato qui da noi?
– Penso, e se non mi fornirete un’altra spiegazione plausibile continuerò a pensarlo, che le ragioni del mio ricovero in ospedale sono di natura puramente politica.
– No, lei si sbaglia. Ciò non succede.
– Conosco molti casi in cui le persone sono state collocate negli ospedali psichiatrici a causa di dichiarazioni dal contenuto politico. Ad esempio, conosco bene il generale Grigorenko e lo conosco come una persona completamente sana, eppure ha trascorso più di un anno in un ospedale psichiatrico per un intervento contro la politica di Chruščëv.
– Non so di cosa stia parlando ­– disse Konstantin Maksimovič – ma penso che un caso simile sia impossibile. Dopotutto, a decidere non è un solo medico, ma un’intera commissione. E non possono mica lavorare tutti per il KGB, giusto? (E perché non possono? – pensai io – Anzi, non soltanto possono, ma devono!).
– Io non so se hanno piazzato qui da voi a Kaščenko qualcuno dei politici, ma sono a conoscenza dell’esistenza degli ospedali speciali in cui il personale [medico e sanitario] viene selezionato alla bisogna – gli dissi.
(Ivi: 42-43).

Questa testimonianza letteraria è ricca di informazioni non soltanto sulle ragioni per le quali i dissidenti venivano generalmente internati negli ospedali psichiatrici e sugli abusi di potere perpetrati ai loro danni dal personale medico e sanitario, ma anche sulle condizioni degli stessi ospedali e dei pazienti ivi in cura, sui trattamenti degradanti ai quali questi ultimi erano sottoposti e sulle cure farmacologiche somministrate, molto spesso, arbitrariamente: nel caso di Mal’cev, ad esempio, la terapia prevedeva l’assunzione di compresse di aloperidolo, un potente antipsicotico usato per trattare la schizofrenia (cf. Humanitas).
Mal’cev fu molto attivo anche nel circuito samizdat: a partire dalla fine degli anni Sessanta, infatti, fu impegnato nella trasmissione clandestina oltre la Cortina di ferro di manoscritti non sottoposti a censura (nepodcenzurnye rukopisi) e di documenti che testimoniavano le violazioni dei diritti umani perpetrate in URSS (cf. Kuzovkin-Makarov 2009a). Tra il 1972 e il 1974, in concomitanza con il caso di V. Krasin e P. Jakir, Mal’cev fu interrogato diverse volte dal KGB e, in un’occasione, Krasin tentò persino di convincerlo a raccontare tutto sui suoi contatti con gli italiani e sull’attività svolta per far uscire clandestinamente dall’URSS alcuni testi proibiti (cf. Kuzovkin-Makarov 2009a). Ciononostante, Mal’cev non collaborò con le autorità e per tutta la vita, anche dopo che gli fu concesso di espatriare in Italia (1974), si spese attivamente per divulgare le notizie sul movimento democratico e sul dissenso sovietici; scrivendo persino la storia della cosiddetta “altra letteratura”, ovvero quella non ufficiale del samizdat.
Arrivato in Italia nel 1974, infatti, alla sua attività accademica come docente di lingua e letteratura russa presso diverse università italiane, tra cui Milano e Parma, si unì quella editoriale, fondando con alcuni amici, tra cui Sergio Rapetti e Giovanni Codevilla, la Cooperativa editoriale indipendente La Casa di Matriona, a cui si devono molte traduzioni in lingua italiana di quelle opere russo-sovietiche non ufficiali che, clandestinamente giunte oltrecortina, venivano pubblicate all’estero (cf. Larocca 2019). Con La Casa di Matriona Mal’cev pubblicò i suoi due lavori più importanti: L’altra Letteratura (1957-1976). La letteratura del samizdat da Pasternak a Solženicyn (1976) – traduzione italiana del volume Vol’naja russkaja literatura, pubblicato nello stesso anno dalla casa editrice Posev – e Ivan Bunin. La vita e l’opera: 1870-1953 (1987). Per comprendere la portata degli studi di Mal’cev sul samizdat e il suo contributo tutt’oggi prezioso allo studio della letteratura russo-sovietica non ufficiale, basti citare un passo della conclusione al volume L’altra letteratura: “Il presente libro è inevitabilmente incompleto. Esso non potrebbe d’altronde essere esauriente in virtù della natura medesima del suo tema: che è un tema segreto, occulto, «illegale» e «perseguibile». Ho cercato di raccogliere tutte le informazioni che ho potuto, mi sono industriato di leggere tutto ciò che riuscivo a procurarmi (e sovente queste letture, in Russia, sono state accompagnate da pericoli non lievi; ho già detto che una curiosità come la mia la si può pagar cara: per esempio, con qualche anno di campo di concentramento). Potrebb’essere benissimo che, in qualche luogo, giacciano sepolte delle opere di prima grandezza, mantenute per ora gelosamente nel segreto: opere che, in un futuro prossimo o lontano, potranno essere annoverate tra i capolavori del nostro secolo. […] Ma questo fenomeno [il samizdat], considerato nella sua interezza, costituisce in toto l’autentica vita spirituale della Russia di oggi, di quella Russia che nascostamente ribolle sotto la sottile scorza necrotizzata della cultura ufficiale. Eliminare questa nefasta formazione tumorale e mostrare al mondo il vero volto della Russia: ecco ciò a cui aspirano con ardore coloro che hanno a cuore la verità. E se la presente fatica potrà essere di giovamento, non fosse che in infima misura, al loro sforzo generoso, saprò allora finalmente che essa non è stata vana” (Mal’cev 1976a: 376-77).
Da queste parole si evince la grande forza spirituale che animò Jurij Mal’cev per tutta la vita, anche in esilio, a battersi per la difesa dei diritti umani in URSS – prima fra tutti la libertà di espressione –­ pagando caro il prezzo del suo attivismo, ma riuscendo sempre a restare fedele a sé stesso e preservando la propria dignità di uomo libero.
Morì nel 2017 a Berbenno in Valle Imagna, dove abitava con la moglie (cf. Rapetti-Codevilla 2017).

Sara Bambi
[30 giugno 2021]

Lavoro tratto dal seminario “Movimento dei diritti civili in URSS” tenuto da Ilaria Sicari (Corso di Letteratura Russa, CdS magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2019/2020).

Bibliografia

Cita come:
Sara Bambi, Jurij Mal’cev e la dissidenza, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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