Naryn, 1939 – Bessèges, 2015

Foto di S. Matsko, Kiev, 1988. Fonte: https://www.photo.net/photo/16102074 

Leonid Ivanovič Pljušč nacque a Naryn, in Kirghizistan, il 26 Aprile 1939. Il padre, ferroviere, morì al fronte nel 1941. Al termine del secondo conflitto mondiale il giovane Leonid, la madre e la sorella si trasferirono da Frunze a Borzna, in Ucraina, per vivere insieme alla nonna paterna. Quando all’età di otto anni gli venne diagnosticata la tubercolosi osteoarticolare, la madre scrisse una lettera di intercessione a Nikita Chruščëv – all’epoca segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista Ucraino [1]  –per chiedere che fosse ammesso in sanatorio, poiché i medici della città non erano in grado di assisterlo. La richiesta fu esaudita e la madre rimase grata a Chruščëv per il resto della vita: da adulto Pljušč commentò questo avvenimento non considerandolo come un favore, poiché in un paese dove le cure mediche sono gratuite – disse – l’essere ammessi in un sanatorio dovrebbe essere la norma (cf. Plyushch 1979: 4).
Frequentò la scuola ma non fu mai pienamente soddisfatto dell’insegnamento ricevuto, poiché non riconosceva ai professori particolari competenze, ritenendo che “la maggior parte di questi insegnanti <fosse> d’una stupidità sorprendente” (Pljušč 1978: 21). Tra i sogni del giovane Pljušč c’era quello di “rivoluzionare la matematica e la filosofia” (ibidem). Queste considerazioni personali, scritte su un diario, vennero rispolverate dal KGB nel 1972 e arbitrariamente interpretate per corroborare l’accusa di “delirio messianico” (ibidem) che gli psichiatrici sovietici attribuivano alla cosiddetta “schizofrenia a decorso lento” (maloprogredientnaja šizofrenija). Nel 1956, Pljušč inoltrò al KGB una domanda di ammissione alla loro scuola ma venne respinto, almeno ufficialmente, per via dei suoi problemi di salute.
Pljušč divideva il suo tempo tra i libri, lo studio e le attività del Komsomol. La sua curiosità, unita ad una personalità eclettica, lo portava ad essere molto critico verso la società. Durante un dibattito con il professore di Storia del PCUS, in merito al XIII Congresso del Komsomol da poco conclusosi, definì lo stesso un “congresso di ciarlatani”, poiché i partecipanti non avevano minimamente preso in considerazione alcuni suggerimenti che Leonid ed altri studenti avevano proposto attraverso una lettera (Pljušč 1978: 30). Il professore gli ricordò che per quelle affermazioni poteva finire nei guai, ma Pljušč ribatté: “l’epoca di Stalin è finita, ognuno ha il diritto di dire quello che vuole” (ibidem). Nel 1959, terminati i primi tre anni di università ad Odessa, Pljušč decise di farsi assegnare come maestro in una scuola rurale “per aumentare il livello di coscienza dei contadini” (Pljušč 1978: 36): la sua richiesta fu accolta e vi rimase per un anno. Deluso dall’esperienza si trasferì a Kiev, si sposò con Tatjana Žitnikova e si iscrisse al quarto anno di università.
Sul finire degli anni Cinquanta, l’incontro con Irina D. Avdeeva, una russa amante della cultura ucraina, fu per le idee di Pljušč un catalizzatore, poiché lo aiutò a “rompere più in fretta le catene di un naturalismo tanto piatto quanto sterile” (Pljušč 1978: 98) e riconoscere nella costruzione di una società l’importanza non solo delle leggi meccaniche della politica economica ma anche della coscienza umana. Nell’edizione italiana delle sue memorie, Pljušč decise di omettere alcuni nomi per tutelare gli interessati da eventuali ripercussioni, come nel caso di Avdeeva, che compare con le iniziali I. D. A. (cf. Pljušč 1978: 97). All’inizio degli anni Sessanta scrisse Lettere ad un amico (Pis’ma k drugu), il suo primo samizdat, che firmò con lo pseudonimo Loza. In esso, in dieci punti, criticava lo stato sovietico, inquadrandolo come capitalismo di stato, dalle sembianze di “una ideocrazia degenerante in idolocrazia”, con a capo burocrati eccessivamente retribuiti ed in contraddizione con quello che Lenin aveva teorizzato (cf. Pljušč 1978: 114). Nel 1965, a Mosca, conobbe Viktor Krasin, che lo introdusse nei circoli dei dissidenti moscoviti, gli fornì molte pubblicazioni in samizdat e lo mise a conoscenza del processo ad Andrej Sinjavskij e Julij Daniėl’. Nel 1968, durante gli avvenimenti della Primavera di Praga, si schierò apertamente contro il PCUS e nello stesso anno firmò una petizione in favore di Jurij Galanskov e Aleksandr Ginzburg. Nello stesso periodo gli fu prima suggerito di licenziarsi dal lavoro e, successivamente, fu espulso dall’Istituto di Cibernetica dell’Accademia delle Scienze Ucraina. In quei giorni, come avrebbe annotato nelle sue memorie “avevo un’unica via di uscita: fare l’oppositore di professione. Mi sarei guadagnato la prigione invece che lo stipendio, ma era un’attività come un’altra, e quanto più importante di qualunque altra!” (Pljušč 1978: 251). Pljušč partecipò come testimone a diversi processi a Mosca, a Char’kov e a Kiev, e non mancò di definirli “kafkiani”, rilevando anche l’aumento di popolarità dello scrittore praghese tra le letture dei dissidenti russi. Dal maggio del 1969, su invito di Pëtr Jakir, aderì al Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti dell’uomo in URSS (Iniciativnaja gruppa po zaščite prav čeloveka v SSSR) e, a partire da quel momento, si fecero sempre più frequenti i viaggi tra Kiev e Mosca per partecipare a processi, manifestazioni di dissenso, per offrire sostegno ai compagni che subivano vessazioni e perquisizioni ed in particolare per lo scambio di informazioni e samizdat tra le due città. Fu così che conobbe il giovane psichiatra e dissidente Semën Gluzman, con il quale discusse sul ruolo del gioco nella lotta contro l’infantilismo e le nevrosi (cf. Pljušč 1978: 393). Questo tema fu molto caro a Pljušč, che gli dedicò buona parte delle sue ricerche, coadiuvato dalla moglie, anch’essa esperta in materia. Nell’ottobre del 1971 subì la prima perquisizione in casa – con conseguente sequestro di qualche documento dattiloscritto e della macchina da scrivere – e fu interrogato dal KGB (Sacharovskij Centr). Questo fu per Pljušč un anno drammatico, non solo per le vicende politiche legate al movimento democratico, ma anche per motivi familiari, professionali e psicologici. Per queste ragioni allentò la sua attività politica ritirandosi a vita privata e, più tardi, ricordando quel periodo scrisse: “Credo che senza questa tregua a termine che riuscii a godere nel 1971, […] gli anni dal 1972 al 1976 mi sarebbero stati molto più insopportabili” (Pljušč 1978: 418). Fu arrestato a Kiev il 15 gennaio 1972 insieme a molti altri dissidenti ed accusato di agitazione antisovietica, in base all’articolo 70 del Codice Penale dell’RSFSR. Prima dell’arresto, ritenuto dallo stesso Pljušč ormai inevitabile, distrusse, bruciandole, tutte le pubblicazioni samizdat in suo possesso, che avrebbero potuto mettere in pericolo altri dissidenti. Fu trovato in possesso di alcuni numeri della Cronaca degli eventi correnti (Chronika tekuščich sobytij) e del “Corriere Ucraino” (Ukrainskij Vestnik) e, al suo arresto, contribuirono anche alcuni scritti definiti antisovietici, in cui Pljušč accusava il partito di discostarsi dall’ideologia leninista. Nella prigione del KGB, a Kiev, fu interrogato diverse volte, tra cui due dai medici dell’ospedale psichiatrico Pavlov. A maggio fu trasferito all’Istituto Serbskij di Mosca, ma solo per qualche ora: fu nella prigione di Lefortovo che ricevette una prima perizia psichiatrica – nonostante avesse chiesto di essere esaminato a Kiev – poiché la maggior parte dei testimoni a suo carico vivevano lì. Ebbe diversi colloqui con una psichiatra del Serbskij e, in alcuni casi, non rispose alle domande. Durante uno di questi incontri fu convocato dal dottor Daniėl’ Lunc, che, come egli stesso ebbe a scrivere nelle sue memorie: “Cominciò ad interrogarmi. Poneva le domande a ritmo rapido, seguendo non so che tattica, con logica, ma senza lasciar trapelare il sistema in cui si inserivano. Io rispondevo laconico, secco, sicuro che ogni frase imprecisa sarebbe stata snaturata […]. Mi faceva notare subito le risposte imprecise, le contraddizioni, il rifiuto di esprimere tutte le opinioni che rendeva un po’ oscure le mie risposte… Dopo un quarto d’ora interruppe il colloquio” (Pljušč 1978: 469).
Il 17 settembre 1972 Pljušč fu convocato nell’ufficio del Procuratore generale dell’Unione Sovietica, Roman Rudenko per essere sottoposto ad un’altra perizia psichiatrica. Fra i presenti vi erano anche D. Lunc, la psichiatra del Serbskij e A. Snežnevskij: tutti membri della seconda commissione designata dal Ministero della Sanità. Il giorno seguente Pljušč fu trasferito in una prigione di Kiev (cf. Pljušč 1978: 452-482).  Qui fu processato, a porte chiuse, tra il 25 e il 29 gennaio 1973 e giudicato incapace di intendere e di volere nonché affetto da “schizofrenia latente” (vjalotekuščaja šizofrenija), caratterizzata, secondo gli psichiatri sovietici, da “idee riformiste”, paranoia e ragionamenti ingenui (cf. Clementi 2007: 168). All’esito della perizia psichiatrica contribuirono anche alcune manipolazioni e strumentalizzazioni di fatti strettamente personali. Le “idee riformiste” si fecero derivare, oltre che da lettere e pubblicazioni di stampo antisovietico, anche dai diari di gioventù sequestrati dal KGB. Anche l’interesse di Pljušč per il gioco e la psicologia fu usato contro di lui. Snežnevskij specificò che le “idee riformiste” riscontrate nella prima perizia si erano trasformate in “idee d’invenzione nel campo della psicologia” (Pljušč 1978: 476). Nonostante il parere della seconda commissione prevedesse la possibilità di inviare Pljušč in un ospedale comune, dal luglio del 1973 fu trasferito all’ospedale psichiatrico speciale penitenziario di Dnepropetrovsk. A partire da agosto i medici iniziarono a somministrare a Pljušč delle dosi di aloperidolo, un neurolettico che, a dosi massicce, può provocare tremori e disturbi psicomotori. Tatjana Žitnikova, la moglie, riferì che durante gli incontri di ottobre e novembre dello stesso anno lo stato psico-fisico di Pljušč cominciava ad essere compromesso. Dal marzo del 1974, i medici sostituirono l’aloperidolo con iniezioni di insulina o di zolfo. In seguito alle prime pressioni internazionali, la cura fu sospesa e, alla fine dell’estate, ci furono miglioramenti nelle sue condizioni di salute. Da novembre riprese la somministrazione di dosi massicce di triftazin, un medicinale impiegato per curare la schizofrenia. Nel dicembre del 1974 Tatjana scrisse al procuratore regionale di Dnepropetrovsk per far cessare gli abusi perpetrati dai medici dell’ospedale psichiatrico. L’abuso di medicinali e tranquillanti portò Pljušč ad uno stato psicofisico estremamente degenerato (cf. Amnesty Report 1975). Dopo l’ennesima denuncia della moglie, Tatjana Chodorovič e Jurij Orlov diffusero negli Stati Uniti un articolo intitolato Stanno facendo impazzire Leonid Pljušč, perché?, ed il volume già uscito in samizdat nel 1974, La storia della malattia di Pljušč[2] (cf. Clementi 2007: 170).
Lo stesso Leonid riferì che la cura somministrata, indebolendolo sia fisicamente che psicologicamente, innescava un circolo vizioso: incapace di discutere con i medici, ad ogni controllo lo si giudicava peggiorato e dunque bisognoso di ulteriori dosi di medicinali.
In virtù del prestigio di Pljušč nell’ambiente accademico internazionale e grazie all’infaticabile lavoro della moglie e di altri attivisti, la detenzione del matematico e il non rispetto dei basilari diritti civili e umani, scatenarono in Occidente enormi polemiche ed una poderosa risonanza mediatica.
Il 25 giugno del 1973, il Comitato per i diritti dell’uomo chiese all’ONU di intercedere per Pljušč e Borisov, un altro dissidente. Venne a crearsi anche un Comitato internazionale di matematici (cui aderirono 54 scienziati) in difesa di Leonid Pljušč e Jurij Sichanovič. Nel febbraio del 1974 la sezione francese del Comitato di matematici incontrò il consigliere di ambasciata sovietico Valentin Dvinin e Valerij Matisov, segretario dell’ufficio culturale: l’incontro si risolse in un nulla di fatto. Tra febbraio e marzo, un gruppo formato da A. Sacharov, E. Bonner, T. Velikanova, S. Kovalëv, T. Chodorovič e A. Tvërdochlebov richiese l’intervento dell’ONU, scrisse ad Amnesty International e al Comitato internazionale per la difesa dei diritti umani. Amnesty International inserì il caso di Pljušč nel report del 1975 sulle condizioni dei detenuti sovietici. Vennero inviate lettere di denuncia anche alla Croce Rossa Internazionale e una lettera aperta, diffusa anche negli Stati Uniti, al direttore dell’ospedale speciale di Dnepropetrovsk. Nell’estate del 1974, il Congresso internazionale dei matematici, tenutosi a Vancouver, chiese l’immediata liberazione dei colleghi (cf. Clementi 2007: 170). Numerose furono le lettere di denuncia indirizzate da Tatjana Pljušč al Ministero degli Interni della Repubblica di Ucraina, al Procuratore della Repubblica di Ucraina, all’istruttore capo del KGB ucraino, al Comitato della sicurezza di Stato presso il Consiglio dei Ministri di Ucraina, al Procuratore generale dell’URSS, a N. Podgornyj, a A. Kosygin, a L. Brežnev, a Ju. Andropov (allora presidente del KGB), al Soviet Supremo, al presidente della Corte Suprema della Repubblica di Ucraina, al dottor A. Snežnevskij, al capo dell’Ufficio medico del ministero degli Interni ucraino, al Procuratore della regione di Dnepropetrovsk, all’Associazione internazionale dei giuristi e all’associazione internazionale degli psichiatri (cf. Pljušč 1978: 529-585). Nel 1975 furono organizzate delle giornate in difesa di Pljušč a New York e in altre città occidentali; il 23 aprile, una delegazione composta anche da alcuni matematici si recò all’ambasciata sovietica di Parigi per chiedere la liberazione immediata. Successivamente anche i partiti comunisti di Italia, Francia e Inghilterra si rivolsero al Comitato centrale del PCUS (cf. Clementi 2007: 170-171). Il 10 gennaio del 1976, dopo un’ulteriore campagna internazionale e dopo quattro anni di reclusione, fu concesso a Pljušč di lasciare l’Unione Sovietica insieme alla famiglia. Dal momento della sua liberazione Pljušč visse in Francia e ne divenne cittadino. Dal 1977 fu rappresentante per l’Ucraina del Gruppo Helsinki, fondato sul finire del 1976 da Mykola Rudenko con la collaborazione di Petro Grigorenko e Nadija Svitlična.
Anche dopo aver lasciato l’Unione Sovietica, Pljušč continuò la sua attività in favore dei diritti umani e civili. Fu uno strenuo difensore della libertà di espressione e di stampa e cercò in diverse occasioni di far emergere le criticità della censura sovietica, anche durante la perestrojka. In Italia fu ospite in diverse occasioni di conferenze e congressi e fu candidato dal Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) alle elezioni europee del 1989. La sua candidatura fu annunciata al congresso del Partito Radicale tenutosi a Budapest nell’aprile del 1989: il suo inserimento nelle liste del partito italiano suscitò una polemica in merito alla legittimità di tale atto; il PSDI innalzò Pljušč, ucraino dell’Unione Sovietica con cittadinanza francese, a emblema delle idee riformiste del partito, come testimoniato dalla conferenza stampa tenutasi a Roma il 4 maggio 1989 a cui lo stesso Pljušč partecipò (cf. Radio Radicale 1989). La candidatura di Pljušč fu possibile in virtù di una legge promossa dal Partito Radicale che permetteva a cittadini dell’Unione Europea di essere candidati in Italia. Qualche anno prima, in un incontro tenutosi a Bergamo, Pljušč espresse chiaramente le sue idee in merito al nuovo corso della politica sovietica: “Vorrei, infine, in qualche modo replicare a un’argomentazione che spesso i giornalisti occidentali mi oppongono. Gorbačëv vuole le riforme – affermano – ma le forze conservatrici glielo impediscono. […] Qui non si tratta più di gradualità, necessaria in ogni processo di cambiamento, ma di politica del doppio binario. Se si persisterà in essa, la riforma tanto attesa non verrà, perché i suoi stessi propagandisti l’avranno resa impossibile” (Pljušč 1987).
Nel 1987, Leonid Pljušč vinse il premio Antonovich.  Sostenne per tutta la vita le idee ed i principi teorici del comunismo, ma non mancò mai di criticare le condotte spregiudicate e contraddittorie di alcuni governi e politici. Fu insignito della decorazione dell’Ordine per il Coraggio ucraino, ma anche in questo caso contestò la condotta del governo ucraino (cf. KHPG 2006).  Dopo una vita di lotte si spense il quattro giugno del 2015 a Bessèges, piccolo centro dell’Occitania.

Note:

[1] Dal 1937 al 1949 fu inviato da Stalin in Ucraina con la qualifica di segretario del Comitato centrale del Partito comunista ucraino; nel 1946-47 fu per poco tempo vice segretario (Treccani, 1961).
[2] Il volume a cui si fa riferimento è The Case Of Leonid Plyushch, by Tat’jana Khodorovič, edito dalle case editrici Hurst & Blackett (London) e Westview Press (Boulder, USA) nel 1976. L’edizione del volume pubblicata da Routledge (London) nel 2018 contiene documenti inediti relativi al caso di Pljušč.

Antonio Cavaliere
[31 dicembre 2022]

Lavoro tratto dal seminario “Movimento dei diritti civili in URSS” tenuto da Ilaria Sicari (Corso di Letteratura Russa, CdS magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2019/2020).

Bibliografia

Cita come:
Antonio Cavaliere, Leonid Pljušč, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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