Marija Rozanova al processo Sinjavskij-Daniėl'[dettaglio]. Fonte: archivio Memorial internazionale

Al tramonto della breve e contraddittoria stagione del disgelo chruščëviano in URSS va in scena un processo politico e mediatico senza pari fino a quel momento: quello che tra il 1965 e il 1966 ha portato alla sbarra e condannato i due scrittori dissidenti Andrej Sinjavskij e Julij Daniėl’, noti oltre cortina con gli pseudonimi di Abram Terc e Nikolaj Aržak. Diretta partecipe e testimone del processo è stata Marija Rozanova, moglie di Sinjavskij, che insieme alla moglie di Daniėl’, Larisa Bogoraz, si è occupata del resoconto stenografico dell’intera vicenda giudiziaria confluito poi ne Il Libro bianco sul caso Sinjavskij-Daniėl’ redatto da Aleksandr Ginzburg (1967).
Rozanova ricorda come il processo Sinjavskij-Daniėl’ abbia profondamente spaccato l’intelligencija sovietica: da un lato i detrattori dei due scrittori, che li consideravano traditori della patria, dall’altro lato i sostenitori che, insieme alle voci di molti intellettuali occidentali, consideravano l’intera procedura giudiziaria soltanto una montatura politica (cf. Passeri 2018-2019: 16). Marija Rozanova, anni dopo, ricorderà come molti dei loro conoscenti, a seguito dell’arresto e del processo, siano poi passati dalla parte dell’accusa: “Tramite l’assurdità di questo processo alla letteratura è esplosa una passione quasi shakespeariana – l’odio di alcuni amici di Daniėl’ nei nostri confronti (anch’essi miei Otello)” (Rozanova 1998: 1). Il 5 dicembre 1965 cominciò la mobilitazione in favore dei due arrestati con l’organizzazione di una protesta in Piazza Puškin a Mosca da parte di Aleksandr S. Esenin-Vol’pin, paragonata da molti critici alla rivolta decabrista del 1825 (cf. Šubin 2008).
Consapevole del fatto che presto la vera identità di Abram Terc sarebbe stata scoperta da parte del KGB, Rozanova cerca dapprima di depistare i servizi e, subito dopo l’arresto del marito, si industria in ogni modo per la sua difesa e per evitargli la deportazione. Dopo la condanna cercherà di ottenere uno sconto di pena, riuscendo a far liberare Sinjavskij dopo cinque anni di campo di lavoro anziché i sette previsti dalla sentenza (cf. Carbone 2007: 234).
Durante tutti gli anni di prigionia di Sinjavskij, Rozanova si trova a dovere affrontare le pressioni, le intimidazioni e gli interrogatori subiti dal KGB per indurla a sottoscrivere una confessione di colpevolezza del marito. Inizia così a studiare il Codice penale sovietico, stilando due documenti formali, una lettera indirizzata a Brežnev, al procuratore generale dell’URSS e al presidente del KGB, nonché alle redazioni dei giornali “Pravda”, “Izvestija” e “Literaturnaja gazeta” e una dichiarazione al Presidente della Corte Suprema dell’URSS. 
Nella lettera, datata 24 dicembre 1965, Rozanova denuncia l’illegalità dell’arresto di Sinjavskij e delle indagini. Sostiene che in nessun caso le opere di suo marito possono essere accusate di essere antisovietiche allegando, a supporto della sua tesi, un racconto di Sinjavskij sul fenomeno delle coabitazioni. Sottolinea che arrestare un intellettuale per quello che scrive va contro le disposizioni della Costituzione sovietica sulla libertà di parola e di stampa. Sinjavskij, inoltre, non è il primo scrittore a pubblicare all’estero: altri autori lo hanno fatto senza conseguenze. Denuncia le pressioni alle quali lei è continuamente sottoposta da parte della polizia, come il sequestro di libri e di altri beni dal suo appartamento, il metodo con cui le indagini vengono condotte, che non rispetta le norme garantite dalle leggi. Non da ultimo, solleva la questione sulle possibili violenze che Sinjavskij può subire in prigione (cf. Ginzburg 1967: 64-77). Nel secondo documento ufficiale, la dichiarazione datata 9 febbraio 1966, Rozanova denuncia ancora una volta i metodi intimidatori del KGB nei suoi confronti e verso i suoi conoscenti ed amici, sottolineando che aveva già sollevato il problema nella sua richiesta indirizzata al Comitato Centrale del PCUS, al KGB e al Procuratore dell’URSS, senza ricevere nessuna risposta. Chiede di allegare la presente dichiarazione al caso Sinjavskij e di essere protetta da azioni illecite (cf. Ginzurg 1967: 83). I due documenti rappresentano le azioni ufficiali intraprese da Rozanova in difesa della causa istruttoria contro suo marito.

Cheti Traini
[31 dicembre 2022]

Bibliografia

  • Carbone A., «Non c’è niente di più spaventoso degli schiavi che diventano padroni». Dialogo con Marija Rozanova Sinjavskaja, “eSamizdat”, V.1-2 (2007): 233-238.
  • Ginzburg A. Belaja kniga po delu A. Sinjavskogo i Ju. Daniėlja, Posev, 1967: 64-77; 83, https://imwerden.de/pdf/belaya_kniga_po_delu_sinyavskogo_danielya_1967__ocr.pdf , online (ultimo accesso: 31/12/2022).
  • Rozanova M., Abram da Mar’ja, “Sintaksis”, 34 (1994a): 125-151.
  • Rozanova M., Teatr absurda, ili profil’fas, in “Chranit’ večno. Andrej Sinjavskij”, supplemento speciale alla “Nezavisimaja Gazeta”, 1 (1998).
  • Šubin A., Dissidenty, neformaly i svoboda v SSSR, Beče, Moskva 2008, https://www.e-reading.club/book.php?book=1018132, online (ultimo accesso: 31/12/2022).

Cita come:
Cheti Traini, Marija Rozanova al processo Sinjavskij-Daniėl’, in Voci libere in URSS. Letteratura, pensiero, arti indipendenti in Unione Sovietica e gli echi in Occidente (1953-1991), a cura di C. Pieralli, M. Sabbatini, Firenze University Press, Firenze 2021-, <vocilibereurss.fupress.net>.
eISBN 978-88-5518-463-2
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